Un signore che si qualifica come «unbalanced well driller», cioè perforatore di pozzi dalla pressione sbilanciata, dice che in Europa il disastro del Golfo del Messico non sarebbe accaduto perché in Europa le regole sono più stringenti riguardo le modalità di chiusura di un pozzo. Per esempio: più cemento per tappare il tubo e maggiore qualità di Bop (blow out preventer), una cosa grossa come una chiesa che si mette sopra il pozzo chiuso per strozzare il tubo definitivamente. Si trattava di un pozzo esplorativo, da chiudere per tornarci in un secondo momento. Il conflitto di interesse in questa circostanza è che non vuoi chiuderlo troppo bene per non metterci troppo a riaprirlo. D’altro canto se non lo chiudi bene, il tappo salta e il petrolio viene fuori.
Tutto è intubato
La fantasia del profano immagina un buco scomposto nel fondo del mare, come la tana di un grosso animale sul pendio di una montagna. Niente di tutto questo: tutto ciò che viene fuori dal fondo del mare lo fa attraverso un tubo che l’uomo ci ha infilato con studio e difficoltà. Le cose in teoria sono molto più ordinate e pulite. Tutto è intubato. Solo che qui c’è un tubo cui è saltato il tappo. La quantità di petrolio che viene fuori dal buco caraibico è di 5mila barili al giorno, non grandissima, per gli standard di questa industria. Per dare un ordine di grandezza, una petroliera porta 200mila barili di petrolio, pari a quaranta giorni di fuoriuscita. L’Italia consuma 1,7 milioni di barili al giorno, che sono il 42% dei consumi finali totali di energia (inclusa quella elettrica, per esempio). Quindi l’Italia consuma in tutto l’equivalente di 3,75 milioni di barili al giorno. Si tratta ora di mettere un imbuto sopra quel tubo e convogliare il petrolio verso la superficie, dove verrà caricato su una petroliera. E naturalmente pulire il casino combinato. Ciò che appare grave nel comportamento aziendale è che la cosa è avvenuta in fase di abbandono del pozzo, quando di esso si dovrebbe sapere abbastanza da non farsi fregare. In questo business, la cosa pericolosa è infatti la trivellazione iniziale, quando non si sa cosa si trova, ci possono essere diversi strati di roccia e di petrolio, con pressioni diverse fra loro, difficili da controllare, che magari fanno saltare tutto.
Se la legge non ci arriva…
Sorprende che perfino queste cose siano soggette a regolamentazione. Che le imprese abbiano bisogno di regolamentazione per fare le cose a puntino. Che gli Stati ne sentano il bisogno. Ma è evidente che sì, ce n’è bisogno. È altresì evidente che ci sono molti modi di osservare la legge e questo è uno dei punti chiave della Csr, che sta nel core business dell’impresa ed attiene anche allo spirito con cui si osserva la legge. Secondo responsabilità, uno che conosce il fatto suo sa che le regole di legge sono insufficienti e allora fa le cose secondo regola d’arte – cioè del mestiere – e non secondo le regole formali. Per esempio nel mondo delle polveri sottili – quelle che si diffondono dalla frenata di un’auto – certi costruttori si tengono parecchio al di sotto dei limiti di legge: forse sanno qualcosa che le regole ancora non accolgono. Quanto alla dinamica delle responsabilità dentro l’impresa, non pensiamo all’organizzazione come un monolite razionale e stupido, che osserva le leggi a puntino e se le leggi non vanno bene: ciccia! La realtà è più complessa e sgangherata di quel che immaginiamo. Ci auguriamo che BP ne dia un credibile rendiconto nel prossimo Csr report.
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