Salute

La città che lotta contro il suo cimitero

L’Africa e l’Aids. Andrea Vallesini inviato in Zimbabwe, ad Harare, dove ci sono 2000 funerali a settimana e dove il cimitero sta inglobando la periferia

di Redazione

Il cimitero di Harare è un campo con la terra rimossa in coincidenza delle fosse. Una visione cruda: non ci sono ornamenti a rendere più dolce la distesa di tombe. La casa dei morti si espande di giorno in giorno, inglobando la periferia estrema della città. Perché in Zimbabwe a causa dell?Aids ci sono duemila funerali la settimana: le dimensioni della tragedia sono visibili da questo cimitero in espansione. La malattia colpisce soprattutto giovani, come evidenziano le date sulle lapidi. Non c?è famiglia che non abbia pagato il suo pesante tributo alla sindrome di immunodeficienza acquisita. La mortalità infantile è al 60 per mille e l?aspettativa di vita è in costante, pauroso calo: era 57 anni negli anni ?80, ora è a 40 e si prevede che scenda a 35 entro il 2003. «Il nesso tra povertà e Aids è cruciale», dice Bill Saidi, condirettore del quotidiano Daily News, «e tenendo conto che il 70 per cento della popolazione vive sotto la soglia di povertà, disponendo di meno di un dollaro al giorno, si può comprendere a quale destino stiamo andando incontro». Il governo ha introdotto una tassa del 3 per cento per finanziare le terapie anti-Aids, ma è come voler svuotare il mare con un cucchiaino. I quotidiani locali danno grande risalto agli accordi tra organizzazioni straniere e lo Znnp+ (il network nazionale per le persone sieropositive) che garantiranno la donazione di farmaci antiretrovirali. Dalle stesse pagine vengono anche lanciati appelli alle Nazioni Unite e alla Fondazione Bill Gates: all?Onu si chiede un?azione politica per ottenere dalle multinazionali medicinali a basso costo, al principe del software invece i dollari per pagare le terapie. Ma intanto la morte fa il suo corso. Alle porte di Harare, lungo la strada che conduce al cimitero principale, si incrocia il care trust ?Mashambanzou? (significa ?l?alba di un nuovo giorno?), un centro per l?accoglienza dei malati terminali di Aids. Sono presenti 18 pazienti, in maggioranza poveri allontanati dalle famiglie. Altre 900 persone vengono assistite a domicilio. «L?Aids ha ucciso mio marito», dice una giovane donna, tenendo per mano il suo bambino. «E mia madre non mi ha voluto in casa. Ora spero di guarire per allevare mio figlio con serenità». La guarigione è una speranza illusoria che dà forza ai pazienti. «Non abbiamo nemmeno farmaci per alleviare il dolore», dice Pat Bailey, una delle responsabili del centro. Ci si affida a un po? di antibiotici, ma soprattutto al calore umano. Le scolaresche vengono in visita al Mashambanzou per imparare cosa è l?Aids. Un gruppo di liceali sta girando le stanze e le riempie con una melodia struggente: canta ai morituri un gospel che sale dall?anima. «Il tempo vola», dice, «e non devi sprecarlo. Devi aspettare Dio ogni minuto, ogni ora, ogni giorno». Il virus Hiv si diffonde attraverso la promiscuità ma anche con la trasmissione materno-infantile. Ogni anno 50mila bimbi verranno al mondo già segnati dalla malattia. Il progetto che l?organizzazione non governativa italiana Cesvi ha avviato all?ospedale Saint Albert, nel distretto di Centenary, vuole spezzare questa catena di morte. Che tra pochi giorni avrà fatto un?altra vittima: Alisan, una bambina di due anni, infatti ha l?esile corpo consumato dall?Aids. Giace priva di forze in un lettino dell?ospedale, accudita dalla mamma, anch?essa ammalata. In quest?area del paese la storia sembra essersi fermata: la popolazione vive in residenze con la muratura circolare in mattoni e il tetto in paglia, prive di acqua corrente, elettricità e gas. è una povertà vissuta con molta dignità e naturalezza. Una donna, che a causa dell?Aids ha perso le tre figlie in pochi mesi, è nonna e ora anche mamma di sette piccoli orfani, che le si aggrappano alle vesti quasi in cerca di protezione. Un?altra donna, alla quale il virus ha portato via marito e figli e ora minaccia il suo corpo, ha investito il proprio inconsolabile dolore nella salvezza di altre vite: gira i villaggi a informare dei rischi del virus e ad offrire ai pazienti possibili rimedi. «Sono segnali positivi», osserva Piersilvio Fagiano, l?uomo del Cesvi ad Harare, «perché la malattia è un tabù del quale si preferisce non parlare. Oggi poi non colpisce più solo i poveri». Info: Cesvi, n° verde 800 036 036


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