di Fulco Pratesi
La prossima volta che andate al ristorante, fate un utile esperimento. Questa la sceneggiatura. Appena seduti, il cameriere, premuroso, vi chiederà subito cosa volete bere. Risponderete: «Acqua»”. La successiva domanda concernerà l’acqua che desiderate: «Gasata o naturale?». E vi mostrerà, speranzoso, l’invitante rastrelliera in cui sfolgorano bottiglie d’acqua minerale delle marche più famose. «Vorrei l’acqua del rubinetto». A questo punto la scena si divide. Il cameriere italiano, esperto e consapevole, vi guarderà con sufficienza, convinto di trovarsi di fronte a un pezzente. E vi dirà «non gliela consiglio». Invece un cameriere di recente acquisizione (in genere asiatico o africano) verrà preso dal panico e vi ripeterà la domanda, indicandovi le bottiglie di acqua non gasata. Alla vostra decisa reiterazione, finalmente arriverà sulla tavola una piccola caraffa dell’ottima “acqua del Sindaco” proveniente da un pubblico acquedotto. O, se sono “scafati”, vi recapiteranno una grande brocca d’acqua del loro impianto di depurazione e filtraggio (proprio per confermare la contestazione all’acqua così come sgorga dal rubinetto). Ecco, se tutti noi, ecologi responsabili, pretendessimo, senza falsi pudori, l’acqua pubblica, rifiutando, anche platealmente, le bottiglie (soprattutto quelle di plastica!) forse riusciremmo a migliorare l’immagine di un prodotto in difesa del quale si stanno raccogliendo firme per un referendum. Io ho già firmato.
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