New York, giovedì 6 maggio, ore 14,45: la Borsa crolla del 10%. Era l’ora di pranzo quando, senza particolari notizie, il Dow Jones precipitava di 1007 punti segnando la maggiore perdita dopo il crollo dell’ottobre 1987 (in una giornata scese del 22%). Dopo 14 mesi di continua sfida alla forza di gravità la Borsa americana si arrende, si rompe, con il risultato di azzerare in sette minuti i guadagni di otto mesi. Una giornata di totale follia dove vengono spazzati via 700 miliardi del valore di Borsa senza una certezza sulle cause. Ma cosa è successo? È mai possibile che nel celebrato santuario del mercato tutto si schianti in pochi minuti senza che nessuno sappia niente? Una Borsa che capitalizza 15 trilioni di dollari crolla del 10% e poi rimbalza del 7% in due ore. Ma questo è un casinò, è Las Vegas. Errore, complotto, test di crash, ancora oggi non si sa.
Dalle ricostruzioni fatte sembra che un trader della Citigroup abbia passato un ordine di vendita su un complicato prodotto finanziario che includeva il titolo Procter & Gamble digitando “b” di billion (miliardi) anzichè “m” di million (milioni) e mandando in tilt l’intero sistema. Panico sui mercati di tutto il mondo con ordini di vendita progressivi. Procter & Gamble arrivava a perdere il 40% mentre altri titoli come Accenture quasi il 100%, recuperando poi il valore iniziale prima della chiusura.
La Borsa è ormai ridotta a monopolio di tre o quattro banche che sistemano i loro bilanci con il trading. Nel primo trimestre la Goldman Sachs ha guadagnato 10 miliardi di dollari in 63 giorni di Borsa aperta senza un giorno in perdita. È una probabilità statistica impossibile. Goldman è il mercato, controlla il casinò e vince sempre. Non esistono regole e le poche che ci sono se le sono fatte fare su misura. Come a Las Vegas ormai a Wall Street dominano le piattaforme di negoziazione computerizzate governate da algoritmi ad alta frequenza che inviano migliaia di ordini in un millesimo di secondo. È inquietante che le Borse siano in mano solo ai computer che prendono la decisione finale.
Quello che è successo azzera la credibilità di un mercato che non esiste più.
Il crollo di giovedì 6 maggio è comunque la prefigurazione per un disastro futuro, ancora più grande. E la prossima volta potremmo non essere più così fortunati.
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