Welfare

Nutella dei poveri, quanti maldipancia

Due associazioni umanitarie citano in giudizio la Nutriset. L'azienda è accusata di impedire la commercializzazione di prodotti simili, ma a prezzo più basso

di Joshua Massarenti

Il mondo umanitario è in ebollizione. Colpa di un prodotto alimentare rivoluzionario a base di noccioline che sta salvando nei Paesi poveri decine di migliaia di bambini dalla malnutrizione acuta, una malattia che secondo l’Oms – Organizzazione mondiale della sanità rappresenta oltre il 50% delle cause di mortalità infantile nel mondo. Battezzata la “Nutella dei poveri”, Plumpy’nut è una pasta supernutriente composta da arachide, latte in polvere, oli e zuccheri, ricchissima di vitamine e sali minerali.
I tempi in cui il Pam, il Programma alimentare mondiale copriva di elogi Nutriset, il produttore, parlando di «un’era nuova» nel mondo umanitario, sembrano lontani. Oggi i riflettori si sono spostati su un tribunale federale di Washington D.C., dove due organizzazioni non profit americane stanno trascinando in giudizio l’azienda francese. Il 18 dicembre scorso la fondazione californiana Mama Cares e l’organizzazione caritativa texana Breedlove Foods hanno depositato una denuncia contro il brevetto che protegge Plumpy’nut negli Stati Uniti e che impedirebbe loro di penetrare il mercato dei Rutf (alimenti terapeutici pronti per l’uso) con due nuovi prodotti molto simili a quello francese e che potrebbero rivelarsi meno costosi: “Re: vive” e “VitalNut Pro”.
Mike Mellace, presidente di Mama Cares sostiene che «dei bambini muoiono perché Nutriset impedisce altre aziende di fabbricare un alimento che salverebbe loro la vita». Un’accusa rispedita al mittente da Nutriset che per voce della sua direttrice Adeline Lescanne afferma che «non un solo bambino nel mondo si è visto rifiutare il prodotto per colpa del contenzioso sul brevetto». L’azienda insiste sul fatto che il brevetto non è universale. In una decina di Paesi come il Niger, il Malawi e il Kenya, Nutriset ha messo in piedi reti di partenariato e di franchising che consentono di fabbricare sul posto del Plumpy’nut con prodotti locali.
I problemi semmai sono da ricercare altrove. «Oggi la capacità produttiva mondiale di Rutf è pari a 60mila tonnellate all’anno, mentre la domanda solvibile è di 30mila tonnellate» sostiene Lescanne. La verità, fanno quindi sapere a Nutriset, è che i donatori internazionali non finanziano abbastanza la lotta contro la malnutrizione. Secondo l’Unicef, nel mondo ci sono 26 milioni di bambini malnutriti e meno di uno su dieci riceve il Plumpy’nut o un prodotto equivalente. Gli Stati Uniti poi sono il principale fornitore di aiuti umanitari. Su pressioni delle lobby agricole, però, le leggi nazionali prevedono che il 99% dei fondi destinati agli aiuti deve servire ad acquistare eccedenze della produzione agricola americana. Il che significherebbe – nel caso di Mama Cares e Breedlove Foods – esportare nel Sud del mondo parte del surplus produttivo di arachidi di cui gli Usa sono tra i più importanti produttori mondiali e quindi mettere a rischio le produzioni locali.
Se le organizzazioni umanitarie riconoscono le tesi di Nutriset, non tutti ne condividono la strategia sui brevetti. Tra queste c’è Medici senza frontiere, la prima ong internazionale ad aver testato il Plumpy’nut su larga scala durante la crisi umanitaria del Niger nel 2005. Per Tido von Schoen-Angerer, direttore della campagna per l’accesso ai farmaci essenziali, nel settore alimentare i brevetti dovrebbero costituire «un’eccezione», e il fatto che Nutriset abbia una presenza molto, se non troppo forte sul mercato degli alimenti terapeutici pronti all’uso non è forse così tanto estranea al modo con cui si gestiscono i brevetti.


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