Sostenibilità

Anche la taccagneria può essere sostenibile

di Redazione

Mio nonno, per risparmiare pochi centesimi, prendeva il tram a una fermata più distante da casa sua, dove scattava una tariffa ridotta. E aveva piccole tirchierie come quella di “rivoltare” le buste per poterle riadoperare o conservare i pennini usati. Era ligure (di Sarzana) e una certa taccagneria era giustificata. Eppure era un generoso sostenitore di nobili cause: elargiva forti somme a organizzazioni benefiche e, in occasione di terribili disastri come il terremoto di Avezzano del 1915, non perdeva un istante per correre in aiuto alle popolazioni disastrate. Penso che oggi, uscendo da un’epoca stravolta dallo stupido consumismo e dai danni che provoca, la taccagneria (che però non sia a danno di altri e non nasconda un avido attaccamento al denaro) debba essere riabilitata. Qualcosa della mia ascendenza ligure è rimasta. Odio le spese inutili. Non vado quasi mai al bar, mi faccio durare per decine di anni scarpe e indumenti, odio i giochi d’azzardo e le lotterie, detesto anche le parole shopping, happy hour e altre. L’automobile mi dura (la uso poco) per più di 12 anni, in città mi muovo a piedi oppure in bici, in motorino o sui mezzi. Viaggi, anche lunghi, preferisco farli in treno o in nave. A casa mia, tra me e mia moglie, lei vegetariana in servizio permanente effettivo e io convinto ma poco praticante, non si butta via niente dalla cucina e per giorni si mangiano gli avanzi. Questo comportamento da spilorcio fa bene sia alla salute sia all’ambiente. E consiglio a tutti di seguire il mio esempio: essere generosi con i meno fortunati (ad esempio lavorando da volontari non retribuiti nelle associazioni) e, per se stessi, considerare che spesso la taccagneria si può anche chiamare parsimonia, frugalità o temperanza.


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