Accanto al tema della sostituzione del patrimonio edilizio esistente occorre porre quello delle aree dismesse, nuovi “vuoti urbani” come scali ferroviari, grandi insediamenti industriali, mercati, macelli, impianti energetici e, più recentemente, poli fieristici non più funzionali alle esigenze della modernità e oggi da delocalizzare: si tratta, nella sola Lombardia, di un patrimonio di oltre 25 milioni di metri quadrati di superfici, nella quasi totalità dei casi intercluse nell’edificato dei centri urbani.
Un patrimonio che va gestito con grande oculatezza perché consente di qualificare l’ambito circostante sotto un profilo urbanistico ed ambientale, con la creazione di nuove infrastrutture per la mobilità pubblica e delle merci, il raccordo e l’omogeneità col contesto, il miglioramento della vivibilità e la creazione di nuovi quartieri, anche densamente popolati con funzioni diversificate.
Il riuso dei “vuoti urbani”, anziché l’edilizia espansiva, consente di non gravare ulteriormente su una disponibilità di suolo resa precaria da anni di dispersione insediativa (“consumando” suolo, ambiente e paesaggio verde ed agricolo), convogliando le nuove esigenze su aree di norma già sfruttate e densamente abitate, realizzando così la “città compatta” e nuovi quartieri a basso impatto ambientale
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