Welfare

I dipietristi: la ricetta è il lavoro

Evangelisti: «Il piano Alfano è uno spot propagandistico. L'unica strada è l'occupazione»

di Daniele Biella

“L’ennesimo spot propagandistico”. Liquida così anche l’ultima versione del piano Alfano (leggi qui) Fabio Evangelisti, deputato dell’Italia dei Valori vicino alle tematiche e a i problemi delle carceri italiane. Vita.it l’ha raggiunto mentre venivano annunciati i nuovi emendamenti al disegno di legge che porta il nome del ministro della Giustizia e che da mesi è la proposta su cui sta lavorando il Governo per affrontare le due emergenze attuali dei penitenziari d’Italia, l’enorme sovraffollamento (67mila detenuti presente contro una capienza regolamentare di 43mila) e il triste record dei suicidi dietro le sbarre: 25 dall’inizio del 2010. “Per togliere dalla disperazione i detenuti c’è bisogno di più lavoro”, denucia il parlamentare Idv.

Vita: Perché reputa negativo il piano Alfano sull’emergenza carceri?

 Evangelisti: Perché fin dall’inizio non si è mai risolto in una proposta concreta, piuttosto è una serie di uscite propagandistiche, dal braccialetto elettronico alle carceri galleggianti, alle ultime proposte sui domiciliari che, a conti fatti, non è che un escamotage solo per i detenuti italiani, visto che gli extracomunitari spesso non hanno un domicilio. Quest’ultimo, inoltre, non farebbe che aumentare i costi di gestione, dato che bisognerebbe predisporre pattuglie di forze dell’ordine che controllino l’effettiva permanenza dei carcerati ‘beneficiati’ nelle loro abitazioni. Le stesse pattuglie che verrebbero così tolte dal loro normale lavoro di prevenzione dei reati.

V: Quali soluzioni propone?

E: Bisogna necessariamente inventarsi qualcosa, soprattutto alla luce del forte aumento dei suicidi in carcere. La normativa attuale è da cambiare, certo, ma il punto di partenza risolvere il problema secondo me più grave oggi, quello dei detenuti in attesa di giudizio, che superano il 50 per cento del totale e che, per definizione, possono risultare non colpevoli di un reato. Le carceri scoppiano primo per questo motivo, poi anche per l’altissima presenza di extracomunitari, che in certi istituti di pena raggiungono il 70 per cento. Il punto di partenza per cambiare le cose sarebbe dare più lavoro ai detenuti, cosa che permetterebbe loro di passare meglio la giornata e, nello stesso tempo, aumenterebbe le loro competenze.

V: Che tipo di lavori ha in mente?

E: Nelle mie ultime visite nelle carceri italiane ho visto ottimi esempi: dalle cooperative sociali che facevano lavorare i detenuti come coltivatori, a quelle che si occupavano di falegnameria. Si tratta, a questo punto, di fornire le commesse adeguate: a titolo di mero esempio, si potrebbe commissionare ai detenuti di un carcere la realizzazione delle coperte dell’Esercito italiano. Il problema è che senza lavorare la gente diventa ancora più disperata dietro le sbarre e, una volta fuori, torna a delinquere se non ha acquisito strumenti per rientrare in società sapendo fare un mestiere.

V: Il Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) ha sempre meno fondi, il personale penitenziario è sotto organico. Dove trovare nuovi fondi per avviare percorsi lavorativi?

E: La situazione finanziaria è pesante, ma i fondi ci sono, basta andarli a prendere dove si trovano. Tutti quei soldi spesi per il G8 della Maddalena si potevano evitare, così come si possono tagliare le numerose consulenze governative attuali e si può condurre una lotta più proficua all’evasione fiscale. Ho visto da una parte strutture nuove pronte all’uso ma chiuse per mancanza di personale, dall’altra carceri strapiene con gli operatori penitenziari perennemente sotto organico. Questo è un dramma che va risolto al più presto, con risposte percorribili.


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