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Mamme e lavoro, il sogno del part time

Un'indagine Isfol sulle donne inoccupate in Italia

di Redazione

Vorrebbero più servizi per l’infanzia, certo, ma oltre la metà delle inattive sarebbero disposte a rientrarci con un lavoro part time (fino a 25 ore settimanali). Fra queste il 38% accetterebbe un reddito netto fra i 500 e i 1.000 euro al mese. È questo l’identikit delle donne inattive italiane, mamme e non, tracciato dall’Isfol, l’Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori.

L’indagine dell’Isfol sui fattori determinanti l’inattività femminile, condotta su un campione rappresentativo della popolazione di donne fra i 25 ed i 45 anni, mira a far luce sulle cause della bassa partecipazione femminile al mercato del lavoro. La ricerca ipotizza la presenza di numerosi elementi che concorrono al fenomeno: fattori di ordine economico, sociale e culturale. I risultati indicano che la cause dell’inattività femminile ruotano principalmente attorno alla famiglia (divisione dei compiti tra i coniugi e carichi di lavoro legati alla cura dei figli e dei parenti non autosufficienti), al modello di welfare (carenza di servizi per l’infanzia, presenza di reti familiari e informali) e all’organizzazione del lavoro (bassi livelli di conciliazione tra lavoro e famiglia, rigidità degli orari di lavoro). L’indagine ha permesso inoltre di evidenziare anche gli elementi di natura culturale che non favoriscono il lavoro delle donne: se la madre dell’intervistata lavorava e se anche le donne che frequentava durante l’infanzia lavoravano, è più facile che anche lei lavori.

Inattività e titoli di studio

Ovviamente l’inattività diminuisce con l’aumentare del titolo di studio, per cui le donne inattive sono il 69% di quelle con licenza elementare e il  21% di quelle con laurea. Ma non al Nord, dove l’incidenza dell’inattività è bassissima anche fra le donne che non hanno titolo di studio o hanno la licenza elementare (17,2%) mentre chi ha una laurea o specializzazione post laurea il tasso di inattività risulta pari al 10,9%.

Inattività e figli

Molte donne però iniziano a lavorare, ma smettono con la nascita dei figli. La scelta di abbandonare il lavoro per dedicarsi ai figli diminuisce al crescere del livello del titolo di studio, così come diminuiscono le probabilità di licenziamento/chiusura aziendale. Diversamente le donne con titoli di studio medi o alti pagano di più il peso della nascita di un figlio se c’è un contratto a termine o stagionale: in questo caso la maternità è motivo frequente di interruzione di lavoro (infatti pesa più per le donne giovani nella fascia 25-34, in misura minore per le donne 35-45enni). Il contrario avviene invece nel caso di licenziamento o chiusura aziendale: le donne più mature sono maggiormente penalizzate.

Famiglia e part time

Oltre la metà delle donne inattive sarebbe disponibile a lavorare fino a 25 ore settimanali, sostanzialmente con un part-time e fra queste circa il 38% accetterebbe un lavoro per un reddito netto fra i 501 ed i 1000 euro al mese. È ovvio che l’orario ridotto risulta una delle forme di lavoro maggiormente desiderata proprio in considerazione del fatto che per i carichi di lavoro familiari diventa una modalità principale per la conciliazione degli impegni familiari con quelli lavorativi. Non a caso una delle condizioni che renderebbe disponibili le donne inattive al rientro nel mercato del lavoro è la possibilità di un’attività lavorativa che comporti un orario ridotto o flessibile. In particolare tale forma di lavoro è indicata nelle regioni del Nord, mentre al Sud è indicata la disponibilità di nidi e scuole materne pubbliche come altro fattore importante nella decisione di lavorare.

 


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