Welfare

Nei nidi non esistono bambini irregolari

Il permesso di soggiorno non è necessario

di Redazione

Accettare o no le iscrizioni alla scuola dell’infanzia di bambini figli di immigrati irregolari? Secondo alcuni la nuova legge sulla sicurezza prevede che non si debba presentare il permesso di soggiorno per la scuola dell’obbligo, ma l’asilo non lo è. Il ministero dell’Interno ha chiarito che il permesso di soggiorno non serve in Emilia Romagna poiché il nido d’infanzia è definito «servizio educativo-sociale d’interesse pubblico». E per le altre Regioni? E come si comportano i tanti nidi e scuole dell’infanzia gestiti dal privato sociale?Accetto lo spunto, ma vorrei rispondere partendo dei bambini. Partendo dai bambini mi pare inaccettabile riportare sulla loro pelle questioni che derivano da elementi di “differenza” legati alla condizione dei loro genitori. Questo è inammissibile perché ben sappiamo – ma forse è opportuno e utile ribadirlo – quale straordinario contributo possono dare i servizi per l’infanzia (la scuola dell’infanzia ma anche, prima, il nido) per offrire realtà e non solo retorica all’affermazione dei diritti dei bambini e alla concreta attuazione di principi di pari opportunità. Sappiamo infatti che la catena che riproduce la disuguaglianza fra le opportunità nel passaggio da una generazione all’altra può essere rotta solo se si interviene nei primi anni di vita.
Fallire dunque le possibilità dell’integrazione attraverso i servizi per la prima infanzia, disincentivandone di fatto la frequenza da parte di bambini di altre culture, vuol dire investire per trasformare il tema della diversità da risorsa a problema.
Nel ventennale della Convenzione sui diritti del fanciullo, abbiamo molto su cui riflettere a proposito, ma il tema del libero accesso dei bambini – di tutti i bambini – alla rete dei servizi educativi è evidentemente dirimente rispetto all’affermazione universale dei diritti dei bambini.
Ma se il problema diventa quello di trovare un riferimento normativo che offra un puntello per consolidare l’affermazione del diritto, forse sarà utile ricordare che la Corte Costituzionale, intervenendo in un contenzioso fra Stato e Regioni in materia di legittimità costituzionale dell’articolo 70 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge Finanziaria 2002», nel 2003 ha sentenziato che «per quel che attiene in particolare agli asili nido, per quanto già evidenziato in relazione alle funzioni educative e formative riconosciute loro (?) , è indubbio che, utilizzando un criterio di prevalenza, la relativa disciplina non possa che ricadere nell’ambito della materia dell’istruzione (sia pure in relazione alla fase pre-scolare del bambino)».
Come dire, smettiamola di continuare a mostrare incertezza su una cosa ormai chiara e conclamata, come il valore educativo dei nidi e delle scuole dell’infanzia, che non hanno certo bisogno di diventare “scuola dell’obbligo” per rappresentare una opportunità il cui accesso non può essere negato a chi lo richieda. Il tema è semmai quello della insufficiente diffusione dei servizi rispetto alla domanda, ma questo è un altro paio di maniche.
Quanto al privato sociale, mi auguro proprio che non succeda nulla e che il comportamento dei gestori e degli operatori sia serenamente coerente e responsabile nel non consentire che si consumino discriminazioni sulla pelle dei bambini. Dobbiamo peraltro riconoscere i servizi educativi gestiti dal privato sociale non solo come elemento di diversità utile a rendere dinamico e vitale il sistema integrato dei servizi, ma anche considerarli – in un quadro di norme e regole definite e controllate dal pubblico – come uno degli elementi costitutivi di tale sistema. Mi auguro per questo che anche la questione delle iscrizioni libere dei bambini rappresenti senza incertezze un normale comportamento condiviso e trasversale all’interno del sistema dei servizi educativi pubblici e privati per l’infanzia.

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