Mirino puntato su piccole sfide dal grande impatto: dalle strisce pedonali al Pm10. Messaggi postati nottetempo, quando la prole dorme e sulla banda per gestire flussi di email non c’è traffico. Mailing list coltivate e coccolate come fossero rare orchidee, da innaffiare quotidianamente, perché il tam tam, meglio se infarcito di video linkati a YouTube, è il vero motore per trasformare la tua idea in progetto. Il tuo post da sterile sfogo a seme di cambiamento. E, perché no?, il tuo impegno in un lavoro che consenta davvero di conciliare lavoro e famiglia.
La mamma agente di cambiamento coglie alla sprovvista perché non ha tempo da perdere: troppe cose da smarcare per non farle bene al primo tentativo, troppa urgenza di risolvere questioni che nessun altro affronterà per lei, onestamente e a testa bassa come lei. E sono queste questioni – insieme allo strumento Internet – che rendono il potere di mamma di oggi diverso da quello di una generazione fa. Più pragmatico ed efficiente e meno ideale. Più egoista, anche: le mamme hanno sempre dato, aggregato, fatto. Con un volontariato dedicato all’altro, però: dalla parrocchia alle fasce deboli, agli animali.
Quando, neomamma, lasci l’azienda o ti fanno lasciare il lavoro, ai piani alti come ai piani bassi (e soprattutto ai bassi quando all’ora non guadagni più di una tata), la strada si biforca: ti arrendi e ti consumi nella rabbia o capisci che, paradossalmente, sei in una posizione di vantaggio. E agisci, attivi, aggreghi. Le mamme su Facebook, con una campagna ideata in pausa pranzo che porti a manifestare contro lo smog. I genitori della scuola in un gruppo di acquisto solidale e in un orto. Messaggiando, postando, allacciando mondi.
Di blog in blog, di mailing list in mailing list, da Twitter alla sala d’aspetto del pediatra. Il potere di mamma non era previsto perché banalizzato in un fenomeno elitario – le mamme online che si sfogano nei blog – o in pura ambizione di voler continuare a giocare scrivendo nuove regole. Già. Ma con la forza di chi è abituato a sgobbare, a fare rete per tappare le emergenze logistiche, a non vergognarsi di agire in piccolo anche se pensa molto in grande. L’impatto di questo nuovo attivismo, che non ha loghi di associazione né confessioni? Un primo dato, purtroppo, è chiaro: il suo modello “a flipper”, di azione che rimbalza dal cortile della scuola al web, funziona solo al Nord. Sotto al Lazio, la blogsfera delle mamme si perde in una nebulosa. In connessioni lente e in antichi, ma diffusi, preconcetti.
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