Politica

La moneta sbagliata dell’Europa

Editoriale

di Giuseppe Frangi

Che cosa ce ne facciamo di quest’Europa? La vicenda greca funziona come una spietata lente d’ingrandimento su tutte le crepe che si sono aperte nel Vecchio continente. La sua unità è stata fatta al traino della moneta senza un vero programma in direzione di un’unità politica, e sta mostrando tutti i suoi limiti, esponendo i Paesi più fragili a terribili contraccolpi sociali. Il re è nudo. E si trova oltretutto in balìa delle due superpotenze, Usa e Cina. Gli americani, grazie alla compiacenza pilotata del “tripolio” delle agenzie di rating, hanno lasciato che le economie dei Paesi del Sud europeo si “ubriacassero” con i soldi dell’Europa e con gli aiuti Usa (con una logica non molto diversa da quella che attraverso i derivati aveva alimentato i desideri impossibili di milioni di americani). Dal canto suo la Cina è stata prontissima ad offrire il suo aiuto alla Grecia annunciando la disponibilità a comperare 25 miliardi di bond di Atene, e puntando in cambio a mettere un piede sul porto del Pireo, avamposto strategico per il Mediterraneo.
Dal canto suo l’Europa è stata a guardare, preoccupata di salvaguardare quel totem del patto di stabilità che tutti erano poi abilissimi ad aggirare. Intanto, a livello politico, si è aperta una falla di dimensioni gigantesche, tra Paesi del Nord e Paesi del Sud, tra Europa ricca ed Europa che si è solo illusa di poter essere ricca. I contributi a pioggia di Bruxelles dovevano essere uno strumento per diminuire questo divario. Ma anche in questo caso la mancanza di una visione politica ha tramutato quei contributi in un gigantesco spreco. Come ha spiegato un economista, i contributi alla fine non hanno prodotto niente in termini di economia reale, ma semmai hanno alimentato consumi effimeri, a vantaggio di produttori come Bmw o Mercedes o della griffe di lusso. Insomma, i soldi, alla fine, sono tornati là dove erano partiti…
Detto questo, non vogliamo accodarci allo scetticismo che vede nell’Europa una costruzione inutile e un’entità morta. L’Europa così è certamente un’Europa sbagliata, prigioniera di potentati e regolata da una burocrazia capace solo di assillarci con i suoi astrusi tecnicismi. Un’Europa retta da una classe politica anonima e senza idee né identità, capace solo di fare da cinghia di trasmissione di interessi altri. Com’è apparso evidente quando Catherine Ashton, il commissario agli Esteri, ha presentato il progetto che di fatto scippa pianificazione e gestione delle iniziative europee in tema di cooperazione e sviluppo alla Commissione Ue. Un accentramento dietro cui le ong vedono il rischio che i fondi destinati per la lotta contro la povertà vengano orientati ad altre azioni, come ad esempio il rafforzamento di un corpo di polizia di un Paese in via di sviluppo. Non è questa l’Europa che vogliamo e a cui sentiamo di appartenere. Perché a dispetto di tutto quello che sta accadendo l’Europa resta qualcosa di grande. Una culla di esperienze sociali che in un mondo sempre “più dolcemente autoritario” sono garanzia di libertà individuali e collettive. Quelle erano la vera “moneta” da spendere per costruire l’unità europea.


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