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Coppie e bambini, enti, Cai: il sistema adozione deve evolvere
Al convegno per il trentennale dell'ente contributi (e preoccupazioni) per il futuro
30 anni sono un bel metro per misurare l’evoluzione di un settore. Soprattutto se il settore è quello delle adozioni, che dal 1980 ad oggi ha attraversato profondi cambiamenti legislativi, sociali e culturali. E se il “metro” è un’associazione come il Cifa, ente autorizzato a carattere nazionale, organizzazione non governativa, che conclude oltre 300 adozioni all’anno (da sette anni consecutivi è il primo nelle statistiche Cai).
Ieri si è tenuto a Torino un convegno proprio per festeggiare con le famiglie, gli enti locali e i tanti enti “amici” del Cifa, che ha dedicato l’incontro a un tema cruciale (ancor di più all’indomani della presa di posizione della Cassazione sui decreti “razzisti”): l’adozione come diritto del bambino.
“Una presa di posizione, quella della Procura della Suprema Corte, arrivata anche troppo tardi”, ha commentato il presidente del Cifa, Gianfranco Arnoletti. “In questi trent’anni, che hanno segnato il passaggio dell’adozione dal “fai da te” alla ratifica della Convenzione Aja e al sistema degli enti autorizzati, vediamo ancora purtroppo che esiste un castello di diritti intorno alla coppia, molti meno intorno ai bambini”.
Interessante il cambiamento di prospettiva, da parte delle coppie, registrato dall’ente: “Se ieri si preoccupavano maggiormente dei tempi d’attesa e della permanenza all’estero, oggi i temi cruciali per loro sono età e salute del bambino, oltre al “servizio all’estero” inferiore agli standard immaginati”, commenta Arnoletti. Meno sentimento e più servizi, insomma: la visione di una coppia riguardo al meccanismo dell’adozione si è fatta meno emotiva e più pragmatica. A volte eccessivamente individualistica: “E’ come se faticassero ad accettare quel margine di indefinito, di sconosciuto che è legato all’avere un figlio. Un’esperienza che anche le coppie naturali conoscono bene”, sottolinea il presidente Cifa, ricordando la sofferenza, in questi anni, di tre bambini che sono stati rifiutati.
All’incontro è intervenuta anche Marida Bolognesi, membro della Commissione Adozioni Internazionali, che ha ricordato le criticità del sistema dell’adozione: la condivisibile ricerca di una qualità nel servizio, da parte degli enti, può portare a snaturarne lo spirito, trasformandoli in aziende in competizione. Poi l’arretramento culturale delle istituzioni, dai Tribunali alle scuole. “La Cai potrebbe fare di più per sviluppare il sistema”, ha detto la Bolognesi, “E’ necessario sviluppare la formazione delle coppie in relazione al “fattore età”: i minori in stato di bisogno sono soprattutto grandi. E’ necessario lavorare sulle scuole, perché è nell’accoglienza tra i banchi che avviene l’accettazione di un bambino nella comunità. E’ necessario sviluppare intese tra gli enti per evitare meccanismi di competizione sfrenata”.
Molto energico l’intervento di Anna Maria Colella, direttore dell’unico ente autorizzato pubblico, l’Agenzia regionale del Piemonte. “Abbiamo una Commissione di 30 persone, rappresentative di diversi ministeri, che non dialoga con gli enti e che ha cancellato tutti i tavoli di lavoro con gli stessi. Azzerando l’unica occasione di confronto con il mondo dell’adozione internazionale”, ha detto. Colella ha ricordato l’importanza del contributo regionale (700mila euro all’anno) per costruire progetti di solidarietà all’estero e realizzare così un vero empowerment della prevenzione all’abbandono e, in seconda battuta, del sistema dell’adozione internazionale.
Sul fronte della cronaca e del caso “decreti razzisti”, Colella ha aggiunto di aver sviluppato a Torino un gruppo di lavoro, in collaborazione con alcuni magistrati, per una proposta di revisione dell’idoneità: “Solo in Italia l’idoneità viene richiesta in Tribunale”, ha sottolineato la Colella. “All’estero interessano molto di più le relazioni sociali e psicologiche, su cui i paesi ci chiedono un elevato livello di approfondimento”.
Ed è proprio sul cammino ancora da fare, a partire dalle modifiche normative della legge (la Convenzione di Strasburgo, che apre le adozioni ai single e agli omosessuali, non si può ignorare) fino alle priorità della cooperazione allo sviluppo di Cifa (che sostiene direttamente 100 bambini ogni adozione realizzata e ha 500 operatori in tutto il mondo), che è intervenuto l’avvocato Marco Scarpati, direttore della cooperazione dell’ente. “La nostra scelta di cooperazione va ai bambini di strada, da Neak Loeung in Cambogia fino all’America Latina. Ed è per noi prioritario che i progetti siano a lungo termine, con una tenuta di almeno tre anni. Noi siamo ancora presenti nei paesi devastati dallo tsunami del 2006. Perché il bisogno resta, anche quando l’attenzione dei media si sposta. E perché noi che facciamo cooperazione abbiamo un problema: scordiamo i volti dei bambini che sono stati adottati. Di notte ci perseguitano quelli dei piccoli che sono rimasti”.
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