Volontariato

Lauree & master: dottor non profit, il futuro è tutto tuo

L'annuale rapporto di Vita sulle università che preparano i manager del non profit. Tutte le nuove offerte e gli sbocchi lavorativi. Il rapporto sul numero di Vita in edicola

di Carlotta Jesi

Test d’ammissione. Nel 2001 il premier inglese Tony Blair ha affidato il 60% della spesa sociale al non profit; a Silicon Valley, il 55% di quelli che hanno perso il posto nella new economy ha mandato il curriculum ai volontari dei Peace corps; in Spagna, la società di assicurazioni Aenor ha premiato i suoi dirigenti con un campo di lavoro in Africa invece della solita vacanza incentive ad Acapulco: cosa significano questi indicatori macro economici? Semplice: il Terzo settore è diventato una business opportunity. E sono sempre di più coloro che progettano una scelta professionale da manager del non profit. Anche il mondo universitario se n’è accorto: fra master, corsi di laurea, seminari virtuali e scuole di specializzazione, da settembre ci sono oltre 30 buone occasioni per recuperare. Più del doppio dell’anno scorso, come abbiamo scoperto realizzando la quarta edizione della nostra guida all’università non profit. E molto più varie … Arrivano i manager della felicità Complici la riforma universitaria, il G8 di Genova e aziende sempre più attente ai rischi insiti nella globalizzazione (dalle campagne di boicottaggio dei consumatori ai possibili conflitti fra lavoratori di diverse etnie) oltre a esperti di fundraising e di marketing sociale, i corsi non profit di quest’anno promettono di formare i futuri manager dei flussi migratori, della mediazione, della pace e della globalizzazione. Professioni molto interessanti, ma non proprio ricercatissime sul mercato? Titoli gratificanti più per il biglietto da visita che per il portafoglio? Stefano Zamagni, responsabile del master in economia della cooperazione di Bologna oltre che docente di storia del pensiero economico alla Bocconi, è convinto di no: «I professionisti del Terzo settore sono gli unici capaci di rispondere a quella che oggi è la vera domanda del mercato: beni relazionali. Le aziende producono sempre più beni privati, ma quelli relazionali che hanno a che fare con il vero benessere dell’uomo, chi li fa? Chi produce la felicità e un sistema economico più giusto come quello che il popolo antiglobalizzazione continua a chiedere? Il Terzo settore. In futuro, a fare la differenza saranno i manager della felicità. Che è un prodotto come tutti gli altri, attenzione, non un ideale. E dimostra che il non profit non è solo una forza residuale che si occupa di emergenza ed esclusione sociale». Le scelte dell’università sembrano dar ragione al professore: a pace, cooperazione e gestione della diversità, quest’anno sono rivolti oltre 15 corsi di laurea e seminari sociali. Più o meno quelli che l’università italiana dedicava nel 2000 alle web professioni. Un nuovo indicatore della popolarità del Terzo settore e delle future professioni trendy? Il futuro del sociale è nello sport e nella cultura Giorgio Fiorentini, docente di economia delle organizzazioni non profit alla Bocconi, non ha dubbi: «Chi studia il Terzo settore oggi ha dentro di sé e approfondisce proprio le qualità più richieste sul mercato: la sensibilità e la capacità di saper cogliere bisogni e desideri della gente, ovvero le caratteristiche dei cacciatori di tendenze tanto quotati di questi tempi, e poi la creatività e la bassa capitalizzazione che mandano avanti la nuova economia». Sulle doti per sfondare, dunque, ci siamo. Ma le opportunità professionali per riuscirci lavorando nel non profit senza essere costretti a ripiegare sull’economia di mercato ,come è accaduto l’anno scorso al 60% dei bocconiani con una laurea in economia aziendale indirizzo non profit? Ci sono anche quelle, assicura Fiorentini. La domanda di professionisti sociali aumenta: «Grazie alle società di lavoro interinale, nello sport, nella cultura e nell’intrattenimento, che sono i nuovi sbocchi occupazionali, e nelle società di consulenza che cominciano a rivolgersi al sociale». Con qualche anno di ritardo rispetto a Stati Uniti e Regno Unito, infatti, anche le società di consulenza italiane hanno aperto al sociale. Prima fra tutte Ernest&Young, che da qualche mese ha attivato un’area non profit specializzata nello studio e nella consulenza legislativa e fiscale per il Terzo settore. Il curriculum vitae necessario per essere assunti? «Abbiamo puntato su giovani professionisti curiosi e disposti a rischiare su un mercato che si sta aprendo», spiega Carlo Mazzini, responsabile dell’area non profit Centro studi Ernest&Young. Tra breve cacciatori di teste dedicati E gli stipendi? E i canali per trovare il lavoro non profit per cui si ha tanto studiato? Sul primo fronte, purtroppo, quasi nulla è cambiato: in tutta Europa i dirigenti di aziende non profit guadagnano meno dei loro colleghi for profit, circa 72 milioni lordi l’anno contro i 150-200 del mercato. Ma l’incontro fra domanda e offerta di lavoro sociale sta migliorando: lo provano gli annunci per professionisti del fundraising e della comunicazione non profit pubblicati dall’Economist e i primi cacciatori di teste completamente dedicati al Terzo settore. Il più famoso è inglese e lavora online (www.charitypeople.com). E, sempre su Internet, al sito www.socialjob.it, partirà fra poco anche il primo esperimento italiano di recruiting solidale.


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