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Ecco cosa pensa la moglie di un terrorista

Hasana, la moglie dell'ex capo di Al Qaeda in Iraq Abu Ayub al-Masri,racconta le istanze e la personalità del marito

di Redazione

«Contestavo spesso la linea di al-Qaeda e questo era motivo di scontri continui con mio marito». E’ quanto ha rivelato la moglie di Abu Ayub al-Masri, ministro della Guerra del cosiddetto ‘Stato islamico iracheno’, ucciso 10 giorni fa in un raid a Tikrit insieme all’emiro del gruppo, Abu Omar al-Baghdadi. La donna di origini yemenite, di nome Hasana, è stata più volte interrogata dagli inquirenti dopo l’uccisione di suo marito, come riporta il giornale arabo ‘al-Sharq al-Awsat’. «Mi sono sposata con lui nel 1988 a Sana’a – ha spiegato – e abbiamo avuto tre figli. Siamo entrati in Iraq nel 2002, prima della caduta del regime di Saddam Hussein, dopo essere stati negli Emirati Arabi Uniti». Gli ultimi giorni con suo marito li ha trascorsi nella fattoria di Tharthar, dieci chilometri da Tikrit, in una zona desertica e remota del paese arabo. «Il vero nome di mio marito era Abdel Munim Ezzedin Ali al-Badri – ha aggiunto – ma per entrare in Yemen ha usato un passaporto egiziano falso usando il nome di Yusuf Hadad Labib. Insegnava in un villaggio poco fuori Sana’a. A Baghdad ci siamo sistemati prima nel quartiere di al-Karrada per piu’ di sette mesi, poi ad al-Amiria altri sei mesi e poi nella zona nuova della capitale».

 La donna sostiene di non aver mai saputo che il marito fosse l’esponente di al-Qaeda che si faceva chiamare Abu Ayub al-Masri, anche dopo l’arrivo degli americani in Iraq nel 2003. Sostiene di averlo scoperto solo dopo l’uccisione, nel 2006, dell’allora emiro di al-Qaeda, Abu Musab al-Zarqawi, il cui posto è stato preso proprio dal marito. «Lui era un estremista. Una volta abbiamo litigato perché lui parlava dello ‘Stato islamico iracheno’ – ha raccontato – e io gli ho chiesto dove fosse questo stato, visto che vivevamo in mezzo al deserto». Anche gli attentati compiuti dal suo gruppo, e in particolare quelli contro i civili, erano altro motivo di litigio tra i due. «Ascoltavamo le notizie da una piccola radio – ha aggiunto – e gli chiedevo perché facesse uccidere anche i civili innocenti». Una volta lasciata Baghdad, la coppia ha preso una casa nella provincia sunnita di Diyala, per poi spostarsi in una seconda abitazione. «Il giorno dopo aver abbandonato questa casa – ha raccontato la donna – l’edificio è stato bombardato dai caccia americani. Nel raid è stato ucciso un membro di al-Qaeda che viveva al piano superiore. Con mio marito e la moglie di questo terrorista sfuggita all’attacco, ci siamo spostati a Fallujah, poi siamo passati ad Abu Ghraib e infine alla zona di Tharthar, dove ci hanno trovati».

 

 A proposito delle mogli dei terroristi

La Corte europea di Giustizia ‘salva’ le mogli dei terroristi islamici. Con una sentenza emessa a Lussemburgo, i giudici Ue hanno stabilito che «il congelamento dei capitali delle persone sospettate di essere associate a Osama bin Laden, ad Al-Qaeda e ai talebani non si applica a talune prestazioni previdenziali versate alle loro mogli». In pratica il regolamento Ue, stilato in linea con le risoluzioni Onu in materia,che dispone il congelamento dei capitali con l’obiettivo di contrastare il terrorismo internazionale «si applica solamente alle disponibilità che possono essere impiegate per sostenere attività terroristiche», chiarisce la sentenza. Per la Corte «il beneficio che una persona iscritta nell’elenco potrebbe trarre indirettamente dal versamento di indennità previdenziali o assistenziali alla propria moglie non pregiudica l’obiettivo del regolamento». Il caso è stato sollevato nel Regno Unito. E’ stata infatti la Camera dei Lord a chiamare in causa la Corte Ue per fare chiarezza sulla ‘querelle’ apertasi tra l’erario britannico e le mogli dei terroristi. L’erario, ritenendo che la concessione di prestazioni previdenziali e assistenziali concesse alle mogli di persone iscritte nell’elenco fosse vietata dal regolamento, aveva deciso di concedere una deroga a tale disposizione ma sotto precise condizioni. In primis, le mogli potevano prelevare solamente una cifra intorno agli 11 euro in contanti dal conto in cui erano state versate le prestazioni. In secondo luogo, dovevano trasmettere all’erario un accurato rendiconto mensile in cui specificare tutte le spese ed, infine, l’autorizzazione era accompagnata da un’ammonizione: le mogli che avessero messo a disposizione dei mariti contanti, disponibilità finanziarie o risorse economiche, avrebbero commesso reato. Immediata la replica delle mogli che si sono rivolte alla Camera dei Lords sostenendo che le prestazioni in questione non ricadevano nel perimetro del divieto previsto dal regolamento. Chiamata a pronunciarsi la Corte oggi ha dato loro ragione.

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