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La Lega è cambiata. Adesso costruisce democrazia di prossimità

Intervista a Stefano Bruno Galli, ideologo del Carroccio

di Stefano Arduini

«Vedo il pericolo di una drammatica disgregazione della socialità. Il federalismo serve anche a ricostruire legami e a scongiurare l’individualismo» Se lo definite il nuovo Miglio si arrabbia («non sono l’ideologo della Lega»). Editorialista della Padania, formatore dei quadri del Carroccio, docente di Storia delle dottrine politiche a Milano, 43 anni, roveretano, Stefano Bruno Galli segue la Lega sin da quando Bossi, il leader maximo “andava a scuola” da Bruno Salvadori, capo degli autonomisti dell’Union Valdotaine. E lui, Galli, ventenne, collaborava con un semestrale semiclandestino dal nome inequivocabile (Etnie). Galli – basta chiedere in giro – è uno degli architravi del nuovo pensiero federalista. È molto stimato dai due Roberti che insieme a re Umberto tengono le redini dei padani: Maroni e Calderoli. Quello che disegna in questo incontro, avvenuto nel suo ufficio milanese all’ombra della cartina delle Tre Italie di Luigi Torelli, di una copia della Magna Charta del 1215 e della Déclaration del 1789, è la parabola della nuova Lega, quella per intenderci che ha espresso i governatori di Piemonte e Veneto, Roberto Cota e Luca Zaia, e che ha messo la sordina a personaggi dello stampo di Mario Borghezio.Vita: Ci aiuta a capire come sta cambiando e verso quale orizzonte va la “nuova” Lega?
Stefano Galli: Faccio due piccole premesse: in Italia non c’è gruppo parlamentare con una percentuale di laureati alta come quello della Lega. Un recente studio sull’identikit del sindaco in camicia verde rivela come, oltre a essere giovane e avere un livello di istruzione superiore agli altri amministratori, sia spesso espressione di una professione fortemente esposta alla crisi economica (imprenditori, avvocati, professionisti, commercianti). La qualità della loro classe politica è molto elevata. Ciò detto, vengo alla sua domanda. Occorre fissare una data: il 6/7 giugno 2009, quando la Lega scopre di essere ormai stabilmente oltre il 10% dei consensi. Lì finisce una fase. E da partito di lotta e di governo il Carroccio scopre la sua vocazione nazionale. Da movimento fortemente critico dello status quo passa a raccogliere i consensi non contro qualcosa (il centralismo), ma per costruire qualcosa di alternativo. Ovvero il federalismo: oggi l’unico argomento forte al centro dell’agenda politica. Ed è questo progetto che riesce a catalizzare sempre di più e in modo sempre più trasversale il voto di destra, ma anche quello di sinistra.
Vita: La Lega però scopre anche di non potere più bastare a se stessa, tanto è vero che proprio Cota e Zaia, appena eletti, a partire dalla pillola Ru486 strizzano l’occhiolino alla Chiesa. Un segno di debolezza, più che di forza, non trova?
Galli: E perché? Al contrario. Scomparse le ideologie, venute meno le agenzie di socializzazione politica (i vecchi partiti, Dc e Pci, e i sindacati prima di tutto) è rimasto il territorio. Uno spazio che la Lega, prima e meglio di altri, ha saputo occupare. E nei territori si parla con tutti, dal tessuto associativo alla Chiesa, alle banche.
Vita: Soprattutto alle banche?
Galli: Anche se il ministro Tremonti sfuma questo concetto, vi è il pericolo di una oggettiva disgregazione della socialità. Un imprenditore bresciano che ha una traiettoria di vita del tutto normale e che dopo aver fatto il garzone mette su la sua impresa, ma arriva a 50 anni e in un momento di crisi decide di farla finita, è una tragedia sintomatica dei nostri tempi. Fino a dieci anni fa non era così, perché la socialità era governata da una rete associativa che scongiurava l’individualismo. Adesso se in banca nemmeno ti ricevono, se gli amici se ne vanno, se la politica non ascolta, è complicato vivere. La socialità la ricostruisci attraverso federalismo e sussidiarietà. Federalismo però non vuol dire solo decentramento della fiscalità ma anche federalizzazione del welfare e delle istituzioni politiche, creazione di reti associative che non consentano all’individuo di fuggire e un sistema bancario decentrato. È quella che definisco “democrazia di prossimità”.
Vita: Lei qualche tempo fa ha avvertito la Lega di tenersi alla larga dai temi etici, argomenti che, come ha dimostrato il caso Eluana, stanno molto a cuore alla gente. Perché?
Galli: Perché non solo spezzano trasversalmente l’elettorato, ma anche le comunità territoriali. E questo, come ho detto, è un pericolo da scongiurare.
Vita: La “nuova” Lega che parla con la Chiesa e le banche può ancora permettersi uscite quasi xenofobe quando affronta i nodi della sicurezza o dell’immigrazione?
Galli: I toni certo vanno cambiati e stanno cambiando, ma la barra del timone va sempre nella stessa direzione: immigrazione nella legalità. Come dimostrano gli accordi bilaterali siglati da Maroni con i Paesi del Mediterraneo e come dimostra la campagna elettorale inglese che su questi temi, sia in campo Labour che in quello conservatore, esprime modi di sentire molto vicini a quelli della Lega.
Vita: Le piace l’idea di un partito del Sud a cui sembrano lavorare alcuni pezzi del Pdl?
Galli: In larga parte il federalismo – nella cultura politica italiana – è meridionalista. Penso a Salvemini o a don Sturzo. Il Sud deve riscoprire questa vocazione perché finora le politiche di assistenza hanno generato dei criteri di irresponsabilità oggettivi. Deve dunque ritrovare la sua “civicness”. E il federalismo è funzionale a questo obiettivo, per così dire rivoluzionario.
Vita: Un’ultima domanda. Cosa ne sarà della Lega una volta portato a casa il federalismo?
Galli: Penso che si sciolga.
(sorride)
Vita: Ci crede davvero?
Galli: Non so. Il federalismo è un grande progetto. E non si ottiene per decreto. Ma è un processo lungo e complesso. Una volta conseguito l’obiettivo, il federalismo ha bisogno di una continua “manutenzione”. In quest’ottica spazi di lavoro ce ne sono ancora per tanti anni.

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