Politica

Il servizio civile? Lo faremo in Inghilterra

editoriale

di Giuseppe Frangi

Suscita una certa invidia scorrere i programmi con cui i partiti inglesi stanno cercando di conquistare il consenso in vista delle elezioni politiche del 6 maggio. Gli articoli di Rose Hackman e di Filippo Addarii su questo numero di Vita rendono efficacemente il panorama delle proposte. Tutti i partiti sono d’accordo ad esempio sulla nascita di una banca sociale, per favorire lo sviluppo di charity e imprese sociali, che il futuro governo farà nascere usando i depositi bancari dormienti. Tra i punti più interessanti dei programmi c’è anche l’introduzione del servizio civile, pensato in forme diverse dai due principali partiti, ma entrambe finalizzate alla formazione civica in particolare dei teenager. Cameron, ad esempio, propone un National Citizen Service, una specie di servizio civile breve (un paio di mesi) dedicato ai sedicenni che lo potranno svolgere presso charity e imprese sociali (nella prima versione del programma era addirittura obbligatorio e universale). Mentre questo viene messo in cantiere in Gran Bretagna, in Italia stiamo assistendo a un film diametralmente opposto: il servizio civile sembra avviato a una lenta ma inesorabile estinzione. Lo dicono i numeri che settimana per settimana documentiamo, con tristezza, dalle colonne di Vita. Le risorse stanziate per il 2010 non toccano i 185 milioni, con una riduzione del 40% sull’anno scorso. Ovviamente la ricaduta è anche sul numero di ragazzi che partiranno: saranno solo 18.400 quest’anno, e le loro partenze sono spostate, per ragioni di bilancio, verso le ultime settimane dell’anno. Per il 2011 le cose non miglioreranno. Per il 2012 è prevista un’altra decurtazione radicale a poco più di 125 milioni di euro. In sostanza solo una minima percentuale dei 100mila posti richiesti da enti e associazioni potranno essere effettivamente coperti. Sul destino del servizio civile la politica gioca poi in maniera ulteriormente dannosa, perché lo scontro tra una visione più statale e una più regionale paralizza anche i progetti di riforma e di razionalizzazione.
Se pensiamo che solo quattro anni fa erano stati circa 50mila i ragazzi che erano partiti in servizio civile, ci si può rendere conto di quale opera di smantellamento sia avvenuta in pochissimo tempo. Tutto questo è avvenuto grazie all’irresponsabile inerzia della politica, che senza dare una ragione e senza seguire una decisione pubblicamente espressa, sta azzerando un laboratorio formativo ed educativo di straordinaria ricchezza. Ci avessero detto, i partiti al governo, nei loro programmi che non intendevano più puntare sul servizio civile, spiegandocene i motivi, oggi ce ne faremmo, obtorto collo, una ragione. Invece tutto avviene in assenza di qualsiasi motivazione, se non la solita: la necessità di stringere i cordoni della borsa. Dal nostro osservatorio riteniamo che questa sia una scelta sbagliata, perché è un’ulteriore forma di disinvestimento verso le nuove generazioni. Disinvestimento economico, ma anche educativo. Speriamo che il terzo settore e la società civile sappiano alzare la voce per difendere un’esperienza che ha fatto dell’Italia un modello di riferimento. Anche se i partiti non se ne sono neppure accorti.


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