Welfare

Cosa accade nelle celle d’Italia

Ecco il report del Comitato della Ue che ha ispezionato carceri, Cie e strutture delle forze dell'ordine

di Daniele Biella

A macchia di leopardo. I diritti delle persone che finiscono, per uno specifico motivo, nelle camere di sicurezza delle stazioni di polizia o dei carabinieri, nei Cie (Centri di identificazione ed espulsione), nelle carceri o negli istituti psichiatrici d’Italia variano molto da zona a zona. Se in molti luoghi sono generalmente rispettati, persistono alcune sacche in cui l’uso della violenza fisica o verbale è ancora troppo spesso una realtà. È questo il quadro che esce dall’ultima visita ispettiva del Ctp, il Comitato per la prevenzione della tortura dell’Unione europea, che dal 14 al 16 settembre 2008 ha visita una ventina di strutture lungo tutto il paese, parlando direttamente sia con le forze di polizia sia con i detenuti e le persone in stato di fermo.

Il Ctp, in seguito alla visita, ha redatto un lungo report (disponibile qui di fianco in lingua inglese) in cui viene esposto e analizzato, caso per caso, tutto quello che la delegazione internazionale (composta da sette esperti e cinque traduttori) ha raccolto durante le visite. Al testo, recepito dal Governo italiano nel 2009, ha fatto seguito la risposta istituzionale, riportata nello stesso documento. La cui pubblicazione è avvenuta oggi 20 aprile 2010.

Un ‘ospite’ del Cie di via Corelli a Milano che, secondo testimonianze raccolte dalla task forze del Ctp, è stato malmenato da sei agenti di polizia, due persone in stato di fermo che sarebbero state picchiate dal personale della stazione dei Carabinieri di Gardone Val Trompia nel Bresciano (i delegati internazionali hanno anche trovato macchie di sangue in uno dei muri interni all’edificio) e il loro ‘passaggio’ nella struttura prima di finire nel carcere di Brescia non sarebbe stato nemmeno registrato: questi alcuni dei casi denunciati nel report dagli esperti del Comitato Ue.

Tra i vari spunti del documento, che inizia sottolineando la quasi totale disponibilità dei funzionari delle istituzioni italiane che sono state visitate (esclusi due episodi di collaborazione parziale, nel carcere Buoncammino di Cagliare e nella stazione di Polizia Poggioreale a Napoli, dove agli esperti non è stato concesso di incontrare liberamente i detenuti e i fermati), si segnalano alcune determinate raccomandazioni che il Ctp presenta al Governo italiano: “l’introduzione, al più presto possibile, del reato di tortura nel codice penale italiano, recependo gli obblighi internazionali”, la messa in atto di “azioni concrete per diminuire il sovraffollamento delle carceri, che ha raggiunto i 59mila detenuti a fronte di una capienza di 43mila” (era fine 2008, ad aprile 2010 si è superata quota 67mila e la politica non ha ancora trovato una soluzione), il garantire “un’assistenza legale immediata dopo lo stato di fermo e la possibilità di contattare persone terze al più presto possibile” (numerosi i casi di ‘malagiustizia’ che l’organo Ue documenta a proposito), così come la possibilità per il detenuto di avere “visite mediche private in cui non vi sia la presenza di un agente di polizia e il cui referto rimanga disponibile solo per personale medico”, quando invece, spiega il Ctp, “viene spesso consultato da appartenenti alle forze dell’ordine”.

In calce al report del Comitato europeo, le risposte del governo italiano analizzano ogni specifica situazione messa in risalto dagli esperti del Ctp spiegandone le cause e, in alcuni casi, avvertendo l’apertura di indagini atti a verificare eventuali abusi o mancanze delle forze dell’ordine.

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