Economia

Banche, la Lega passa alla cassa

Dopo il successo elettorale Bossi lancia il nuovo grande obiettivo

di Franco Bomprezzi

Bossi conquista i titoli di apertura dei quotidiani di oggi con l’ultima frase ad effetto: la Lega ora punta a entrare nel salotto buono delle grandi banche del Nord. Una sorpresa? Non tanto, stando alle analisi e  ai commenti, è un disegno che viene da lontano e potrebbe concretizzarsi a partire dalle grandi Fondazioni.

“«Vogliamo le banche del Nord”», il proclama di Umberto Bossi dà il titolo di apertura del CORRIERE DELLA SERA di oggi: «La Lega post elettorale guarda al mondo bancario. Umberto Bossi: «La gente ci dice “prendetevi le banche” e noi lo faremo. È chiaro che le banche più grosse del Nord avranno uomini nostri ad ogni livello». Non solo, nel segno di contare di più il leader del Carroccio va all’attacco e ipotizza un premier leghista nel 2013. Ieri, intanto, Silvio Berlusconi, appena tornato da Washington, ha deciso di incontrare Umberto Bossi a cena, con tutto lo stato maggiore della Lega». “Banche del Nord e premiership. Il manifesto di Bossi” è l’apertura di pag 2, mentre la nota di Massimo Franco parla di “Un Carroccio all’attacco fra premier e cofondatore”. Da leggere anche il retroscena a firma di Francesco Verderami, che dà i dettagli dell’asse fra il leader leghista e il ministro dell’Economia (“Fondazioni, Tremonti in campo. E rispunta il patto segreto del 2001”). Il riferimento fa riferimento alla riforma delle Fondazioni bacarie «che passa anche dal rinnovo di cariche importanti come quella della Cassa depositi e prestiti: una cassaforte con dentro 180 miliardi dei piccoli risparmiatori italiani». A pag 6 l’analisi di Massimo Mucchetti “La prima partita del credito”: «Unicredit  e Intesa San Paolo hanno un capitale diffuso anche all’estero. La Lega pensa di esercitarvi un’influenza dominate attraverso le Fondazioni. Ci vorrà tempo. Le fondazioni sono governate da consigli con scadenze diverse, espresse sia dagli enti locali che dalla società civile: camere di commercio, università, chiesa, non profit. E tuttavia le parole di Bossi possono abbreviare l’attesa inducendo gli amministratori a correre in soccorso del vincitore».

“Bossi: a noi le banche del Nord” è il titolo d’apertura de LA REPUBBLICA che sintetizza la situazione politica fra occhiello (“Il Senatur, a cena dal premier, boccia le modifiche della legge elettorale. Bersani al Quirinale: no alla bozza Calderoli”) e sommario (“Pronto il nuovo lodo Alfano, arriva la stretta sulle intercettazioni”). Due pagine per spiegare il Bossi-pensiero: «Ci prenderemo le banche del Nord. La gente ce lo chiede e noi lo faremo», «La legge elettorale non si tocca. Mica si può cambiare sempre tutto il parlamento. Questa legge sta funzionando bene. Sono contrario al doppio turno». Lontani i tempi in cui Calderoli definiva la sua riforma elettorale una «porcata» (che funziona: ha fatto eleggere il figlio “trota”, che ha accompagnato il padre all’incontro con Berlusconi). Bossi non esclude nemmeno un premier della Lega. Scontate le reazioni. Bersani si indigna. «Più si parla di riforme elettorali, più cresce la confusione nel Pdl», dice Rosy Bindi. Quanto alla maggioranza, il presidente del Senato raccomanda che non si facciano riforme unilaterali («ci vuole la più ampia condivisione») e prende le distanze dal modello di Senato federale (che nella bozza Calderoli non dovrebbe dare la fiducia al governo: per molti del Pdl si tratterebbe di una diminutio). Quanto agli istituti di credito, Andrea Greco firma un pezzo eloquentemente intitolato: “Nelle fondazioni di Intesa e Unicredit il Carroccio ha già iniziato a pesare”. «La banca più è local più ci piace» dice il governatore Zaia, mentre i suoi volgarizzano il messaggio in termini più espliciti: «banchieri e grandi vecchi dei salotti buoni hanno i giorni contati». In realtà, sottolinea Greco il potere leghista nelle banche c’è già: Alessandro Profumo ha dovuto riscrivere un progetto di riassetto interno per far spazio al country manager Gabriele Piccini, che viene da Seveso ed è salutato dai leghisti «come uno dei nostri». Nelle fondazioni uomini del Carroccio siedono già e siederanno sempre più. La settimana prossima c’è il rinnovo del Cda della fondazione Cariplo: improbabile che non sia rieletto l’avvocato Guzzetti, ma ha 75 anni: potrebbe essere il suo ultimo mandato. Già in atto la “battaglia” sotterranea per la fondazione Cariverona: in autunno scade il vertice guidato da Paolo Biasi (72 anni). I leghisti lo vogliono pensionare, lui intende resistere. «Comincia la grandeur bancaria padana». Nel suo commento, Massimo Giannini (“Lega di lotta e di lottizzazione”) non fa sconti: «bisogna risalire molto indietro nel tempo per ritrovare accenti politici di pari arroganza lottizzatoria nei confronti del sistema creditizio» e cioè alla Dc di Evangelisti (secondo il quale l’emblema delle Casse di Risparmio avrebbero dovuto essere inciso a fuoco nello stemma scudocrociato). Giannini ricorda inoltre che i precedenti bancari del Carroccio non sono esaltanti: Credieuronord fu salvata dal fallimento con un avventuroso intervento della Popolare di Lodi (guidata da Fiorani).

E’ un Bossi molto pragmatico quello descritto negli articoli che IL GIORNALE dedica al tema del banco del carroccio. Nel pezzo “Bossi:«Prenderemo le banche. La Lega avrà uomini ovunque»“, il quotidiano della famiglia Berlusconi riporta le frasi dette dal senatur ai giornalisti mentre usciva dal Transatlantico: « E’ chiaro che le banche più grosse del Nord avranno uomini nostri a ogni livello». E’ ovvio, secondo il ragionamento de IL GIORNALE, che chi guida due regioni «deve contare in fondazioni e banche se vuole governare importanti scelte sulle infrastrutture, e in prospettiva, anche sull’Expo di Milano». Ma non sarà facile entrare nelle banche. Secondo il Focus di Marcello Zacchè “Quei soggetti privati dove conta la politica“, il proposito del senatur è tutta propaganda leghista. Dopo tutto «le società sono controllate da soci privati. E quotate in borsa». L’obiettivo di Bossi, fa notare il pezzo, sono in realtà le fondazioni. «Sono i più importanti attori del terzo settore: utilizzano i dividendi della banca per le erogazioni nel proprio territorio di riferimento. E’ questa è la parola chiave, sulla quale fa leva il Bossi-pensiero: il territorio». 
Butta acqua sul fuoco Lodovico Festa. Nel suo editoriale in prima pagina “La strategia Padana: diventare una Dc ma senza lottizzare” Festa sostiene che «le sparate bossiane non vanno sempre e del tutto prese alla lettera». Ancora Festa: «Talvolta, più che il senso, bisogna ascoltare il rumore delle parole: in quel prendersi le banche c’è un avvertimento a quell’establishment che vorrebbe risucchiarsi la Lega come forza residuale magari utile a contenere Silvio Berlusconi.

 «Un Po di banche» è il titolo scelto da IL MANIFESTO per illustrare l’ultima uscita di Bossi che campeggia in prima pagina con la sua camicia verde «”La gente ci dice di prendere le banche e noi lo faremo”. Incassato il successo elettorale, Bossi indica le tappe della scalata ai palazzi che contano. Dopo aver prenotato la poltrona del premier per il 2013 ed escluso una federazione con il Pdl, il Carroccio raccoglie il malcontento di piccole e medie imprese del Settentrione e promette alle camicie verdi un posto a tavola nei Cda delle Fondazioni» riassume sempre in prima pagina. Il commento di Galapagos, intitolato «La carica di Bossi» osserva: «(…) Il successo elettorale ha eccitato la Lega Nord a Bossi con la consueta delicatezza ha messo i piedi nel piatto, rivendicando al suo partito il controllo (o almeno una partecipazione) nelle banche del Nord. Certo i precedenti non sono dei più felici. Più di dieci anni fa la Lega cercò di sbarcare nel mondo del credito fondando la CreditEuronord con un capitale di 70 miliardi di lire. Fu un flop gigantesco» e continua «Ora che il potere della Lega si è allargato sul territorio e molte designazioni di amministratori delle Fondazioni sono di quasi esclusiva pertinenza della Lega, gli appetiti sono cresciuti, insieme a un forte malcontento per la politica del credito delle banche. In particolare da parte delle piccole e medie imprese. Quindi i soldi del Nord al Nord. Ma Bossi dimentica che al Nord va parte della raccolta che le banche meridionali, sempre più fagocitate da quelle settentrionali, fanno sul loro territorio. Di più: al Sud mediamente il costo del denaro è di 1,5 punti superiori a quello del Nord. Ma il federalismo a senso unico non guarda tanto per il sottile».

“Uomini della Lega nelle banche del Nord”, titola IL SOLE 24 ORE. Più efficace il titolo a pagina 5: “Opa di Bossi sulle banche del Nord”. Il Senatur ieri «ha presentato il conto» dopo il successo elettorale, oltre al minirimpasto che prevede un sottosegretario leghista di peso all’Agricoltura, Bossi si è guadagnato, al grido di «le banche più grosse del nord avranno nostri uomini a ogni livello», un appuntamento con il premier al posto di Fini, che slitta a domani.
In “Uomini del Carroccio in corsa per il risiko” Marco Alfieri prova a disegnare la mappa dei possibili spostamenti e candidature del mondo bancario del nord. L’analisi è condotta regione per regione. «Nel Piemonte di Cota, la Compagnia di San Paolo, primo azionista di Ca’ de Sass, scadrà a giugno 2012. Anche se un primo test scatterà a fine mese quando la vicepresidente Elsa Fornero passerà al CdS di Intesa Sanpaolo. Al suo posto si parla delle pidielline Annamaria Poggi e Patrizia Poliotto, ma salgono anche le quotazioni di Adalberto Giraudo, revisore dei conti in Compagnia dotato di un robusto cotè leghista». In Lombardia «il risiko più goloso è quello in Fondazione Cariplo, un forziere che ogni anno distribuisce 200 milioni sul territorio. La presidenza di Giuseppe Guzzetti è blindata fino al 2013. Per ora Bossi dovrà accontentarsi della sua mediazione. I meccanismi di nomina impediscono infatti di sfruttare il rinnovo dei 6 consiglieri in agenda il mese prossimo. Più fluida la situazione tra le Popolari. Massimo Ponzellini è attivissimo alla presidenza di Bpm, giocandosi da vero banchiere padano. Non è un caso che sia proprio piazza Meda a lanciare l’idea di un secondo giro di aggregazioni tra Popolari attive su territori a egemonia leghista. Nomi segnati sul taccuino di Giorgetti, per le prossime mosse di finanza padana: Marcello Sala, attuale consigliere di Intesa Sanpaolo; Danilo Broggi, ad di Consip; Dario Fruscio e il bocconiano Christian Chizzoli». Infine in Veneto «ad ottobre si andrà al rinnovo della Cariverona di Paolo Biasi, che il Carroccio punta a sostituire intestandogli il flop del progetto di “cittadella finanziaria”, in asse con l’ex sindaco Pd, Zanotto. Dei 32 membri del Consiglio generale che nomina il cda solo 14 sono di derivazione politica. Spingendo così a riposizionamenti leghisti de facto: è il caso di Luigi Castelletti, vicepresidente di UniCredit in quota fondazione scaligera, astenutosi sul progetto di “bancone”». Alessandro Graziani di lato però firma “Ma le fondazioni tengono (per ora) i «loro» banchieri”. «“Le Fondazioni? Sono come cani che abbaiano, ma non mordono”. L’ex numero uno di Mediobanca Enrico Cuccia non ha mai avuto dubbi e, anche ad anni di distanza dalla sua scomparsa, la storia sembra dargli ragione. Le Fondazioni, a partire da quelle azioniste delle due grandi banche (UniCredit e Intesa Sanpaolo), sono spesso andate allo scontro con il management delle banche. Ma senza mai affondare il colpo. Eppure, le spinte dal mondo della politica – in tanti anni – non sono mancate. Ma i grandi “Fondatori” – da Giuseppe Guzzetti della Cariplo, a Paolo Biasi di CariVerona, a Fabrizio Palenzona per la Crt o Dino De Poli di Cassamarca – hanno sempre resistito alle spinte di un potere politico, spesso fragile e diviso, che gli chiedeva di cambiare assetti e vertici delle stesse Fondazioni e poi delle banche controllate. Se lo hanno fatto, e continuano a farlo, è soprattutto perchè i veri poteri forti – nell’eterna dialettica tra banchieri e Governo – sono proprio le Fondazioni. E la generazione di ex politici democristiani che governa gli enti (cui fanno capo le banche), quasi tutti cavalli di razza della vecchia Dc del Nord radicata nel territorio, si sono «inventati» il ruolo delle Fondazioni come “corpo intermedio” tra banche e politica. E hanno costruito sulla loro autonomia, che per i critici diventa autoreferenzialità, un ruolo fondamentale di insostituibile cuscinetto tra Governo e banchieri».  

“Dopo gli assessori Bossi vuole i banchieri“. E’ il titolo della Nota Politica che ITALIA OGGI dedica all’outing di Bossi sulle banche. E’ un articolo in chiave dannunziana quello scritto da Marco Bertoncini. Vale per Bossi, si legge nel pezzo «il verso del Vate: Nessuna cosa mi fu aliena, nessuna sarà mai. Quindi dalla poltrona oggi occupata da Letizia Moratti fino addirittura a quella ove siede Berlusconi, nulla è alieno agl’interessi leghisti». Ma il vero oggetto dei desideri, secondo l’analisi di ITALIA OGGi, rimane sempre il federalismo. Ci sono molte possibilità che i decreti attuativi del federalismo fiscale vadano a compimento. In cambio Bossi appoggerà Berlusconi con la riforma della legge elettorale. Bossi, fa notare il pezzo, si è già infatti «proclamato contro il doppio turno, cosciente delle maggiori difficoltà del centro-destra nei ballottaggi».

Lancio in prima pagina su AVVENIRE: “Bossi reclama le grandi banche”. L’articolo di Angelo Picariello comincia così: «La Lega straripa. Cabina di regia sulle riforme, sindaco di Milano nel 2011 e ora anche Palazzo Chigi, nel 2013. E soprattutto, banche del Nord. È un fiume in piena – giusto un Po – Umberto Bossi». I segnali lanciati ieri dal senatur sono destinati al Palazzo, più che al suo popolo: «La gente ci dice “prendete le banche” e noi lo faremo, avverte con il suo solito periodare che non conosce perifrasi» e arrivano nel giorno in cui il ministero dell’Agricoltura – «rivelatosi una gallina dalle uova d’oro, in termini di consensi, nel settore agricolo» – passa da Zaia a Galan e il giorno dopo la nomina di un country manager per l’Italia da parte di Unicredit, «come preteso dalle Fondazioni bancarie (e dalla Lega)» contro il progetto centralizzatore di Profumo. Tutto cominciò così, ricorda AVVENIRE, quando a febbraio Zaia scatenò la polemica contro Profumo, colpevole di aver appoggiato la candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2020, anziché quella di Venezia. In realtà, poi spiega AVVENIRE, la «lunga marcia» è iniziata otto anni fa, quando con Tremonti la Lega provò a rafforzare il potere degli enti locali dentro le fondazioni: allora vinse l’Acri di Guzzetti, ma negli anni Tremonti e Giorgetti hanno lavorato molto. E ora si va verso «una Lega come una nuova Dc». 

“Bossi all’attacco: prenderemo le banche del Nord”. È il titolo in prima de LA STAMPA che dedica alla questione anche la pagina 10. “L’ennesima novità del senatur” è il titolo del commento di Marcello Sorgi: «Sorpresa, sconcerto, curiosità: ma dove sta il problema? Le grandi banche, come si sa, sono da tempo private e possedute in parte da azionisti stranieri. Nelle fondazioni bancarie, che partecipano al capitale, sono presenti rappresentanti dei comuni, delle province, delle regioni, oltre a professionisti di varia estrazione, dei quali, non è un mistero, talvolta si possono intuire le simpatie politiche. Pur con limiti evidenti, questo è ancora un sistema migliore di quello della vecchia lottizzazione delle casse di risparmio, quando ancora il settore bancario era composto da una miriade di aziende che entravano a far parte della grande torta del sottogoverno suddiviso tra i partiti. C’è qualcosa di strano se, per ciò che ancora riguarda le nomine di fonte politica, la Lega avanzi le sue richieste? Possibile che nessuno si ricordi che la prima volta che Bossi parlò di banche era in un’intervista a Giovanni Cerruti, pubblicata sulla “Stampa” ben 18 anni fa? (…) Bossi diceva quello che dice oggi: federalismo, riforme, il Nord alla Lega. E oltre alle banche, pensava a reti e Tg Rai. Dal tono con cui le diceva, si capiva che era pronto ad accontentarsi della metà della metà di quel che chiedeva. Eppure, ripetute fino alla noia all’indomani di ogni vittoria elettorale degli ultimi vent’anni, queste stesse cose incredibilmente destano allarme e vengono accolte come inquietanti novità». Francesco Manacorda, nel taglio basso, va nel dettaglio con una mappa del risiko delle fondazioni, “La lunga marcia padana ora mira alle Fondazioni”: «L’ingresso non sarà facile né immediato, perché si tratta di espugnare quel mondo delle Fondazioni bancarie che fungono da trait d’union tra la politica e il credito e che, da Giuseppe Guzzetti a Fabrizio Palenzona, sono solitamente e solidamente presidiate da quel che resta della Democrazia Cristiana. (…) in Fondazione Crt, azionista di Unicredit con il 3,7%, il segretario generale Angelo Miglietta, un tecnico in passato alla Fondazione Cariplo, ha buoni rapporti con il neogoovernatore del Piemonte Roberto Cota e anche un consigliere come Fabio Corsico, storicamente legato a Tremonti, ha contatti in quel campo. (…) . In Fondazione Cariplo, socio di Intesa-Sanpaolo con il 4,7%, dove i leghisti sono di casa fin dal 1994, i tempi per qualche novità potrebbero essere vicini. Giovedì prossimo si rinnova il consiglio d’amministrazione. Là dovrebbe entrare anche Luca Galli, presidente della Fondazione comunitaria del Varesotto e vicino proprio alla Lega». 

E inoltre sui giornali di oggi:

EMERGENCY
CORRIERE DELLA SERA – Anche oggi due pagine sul caso Emergency. Da segnalare, oltre alla lettera di Berlusconi, il pezzo di Lorenzo Cremonesi in cui, riprendendo i media locali, si parla di “Nuove accuse a Garatti, «Il chirurgo coinvolto nel caso Mastrogiacomo»”, ma anche della possibile riapertura del dossier Torsello rapito e liberato nel 2006. In particolare l’agenzia Pajhwok sostiene, citando fonti governative che «il chirurgo Marco Garatti, il più senior tra gli italiani arrestati, sarebbe coinvolto nel sequesto Mastrogiacomo, il giornalista preso dai talebani e poi liberato dopo il pagamento di un riscatto (vennero invece assassinati l’autista e l’interprete): «sono notizie che arrivano dai servizi segreti coinvolti nelle indagini. Entro quattro giorni dovrebbero formulare accuse ufficiali. Affermano anche che Garatti si sarebbe tenuto 500mila dollari del milione e mezzo pagato dall’Italia per il riscatto», ha detto in serata il direttore dell’agenzia Danish Karokhel». 

LA REPUBBLICA – Berlusconi scrive a Karzai chiedendo la verità sugli operatori arrestati sotto l’accusa di detenzione di armi e di partecipazione alla progettazione di un attentato al governatore di Helmand. Intanto però nessuno sa dove siano tenuti. Secondo Frattini presto uno dei tre sarà liberato. Nella lettera del governo la proposta di creare «un team italo-afgano per l’accertamento dei fatti». Gino Strada, in una lettera al giornale, sottolinea come la polizia afgana sia andata a colpo sicuro (direttamente verso le armi, ignorando centinaia di scatole e scaffali). Una evidente «montatura» secondo lui che nasce dal fatto che l’ospedale di Emergency cura tutti, anche i talebani. «Certo, noi curiamo anche i talebani. E nel farlo teniamo fede ai principi etici della professione medica, e rispettiamo i trattati e le convenzioni internazionali in materia di assistenza ai feriti».

IL MANIFESTO – Due richiami in prima pagina uno per le ultime iniziative diplomatiche «Frattini scopre l’Afghanistan: forse uno libero» e l’altro per annunciare l’intervista a Gino Strada: «È una vergogna per l’Italia. Liberi tutti». All’interno nell’intervista (pagina 5) a Strada si sottolinea come non bastino i «primi timidi passi del governo». L’ultima domanda al fondatore di Emergency è sul ruolo degli inglesi: «Agli inglesi è stata assegnata quella zona dell’Afghanistan, è in quelle zone che stanno preparando la campagna di primavera, cioè stanno semplicemente pianificando altri assassini nel silenzio totale. E noi stiamo perdendo la nostra dignità nazionale» risponde Strada. Nella stessa pagina un corsivo di Tommaso Di Francesco «Frattini, un tardivo dietrofront». Si legge: «È sotto gli occhi di tutti che Franco Frattini, sulla crisi dei tre medici di Emergency sequestrati dai servizi segreti afghani e dalle truppe britanniche della Nato-Isaf, ha cominciato a fare il ministro degli esteri solo ieri quando alla Camera ha resocontato e preso una giusta e “insoddisfatta” posizione di stato – chiamando i tre medici italiani addirittura “connazionali”. (…) Così ieri il ministro degli esteri si è improvvisamente ricordato di rappresentare gli interessi di tutti gli italiani, non solo all’estero, e ha spiegato quanto sia incredibile la posizione del governo e della presidenza afghana, quanto siano inverosimili le accuse che riguardano la presunta preparazione di un attentato che avrebbe dovuto essere realizzato appunto con il coinvolgimento del personale di Emergency». E conclude: «(…) non è un po’ tardi, ministro Frattini, accorgersi ora che hanno diritto a tutte le garanzie? Non è davvero sconcertante riconoscere, quattro giorni dopo, che l’”onore dei medici della cooperazione italiana è anche l’onore dell’Italia”? Perché è quello della guerra che ogni giorno anche le “nostre” truppe combattono, ha davvero poco di onorevole viste le stragi di civili alle quali contribuiamo “esportando la democrazia”. È questa la verità che fa infuriare il governo italiano che adesso chiede a Emergency e a noi di “non politicizzare”, vale a dire di tacere, in silenzio. Mentre parlano i bombardieri».

SLA & CALCIO
AVVENIRE – Intervista a Gianluca Vialli e Massimo Mauro sulla loro Fondazione contro la Sla. Mauro sancisce come «il calcio da noi è sempre stato spacciato» e gli stadi sono «luoghi infrequentabili», anche se «le cose belle che succedono non vengono raccontate». Sulla Sla e la ricerca, dicono: «sarebbe bello se la Lega calcio finanziasse la ricerca, ma non con spirito riparatore, come impegno serio per dare una mano ai ricercatori. La discesa in campo della Lega Calcio aiuterebbe a tranquillizzare le famiglie che il calcio non fa male».

RAI
LA REPUBBLICA – “Ascolti, sprofonda il Tg1 di Minzolini”. Avrebbe perso un milione di spettatori il telegiornale del «direttorissimo» come lo chiama Berlusconi. A sgretolarsi anche il vantaggio rispetto al concorrente Tg5. Commenta il consigliere Rai, Rizzo Nervo: «per le sue parzialità e per i suoi contenuti, il Tg1 non è più il telegiornale di riferimento di tutti gli italiani. Questo ci dice l’Auditel. E l’azienda non può continuare a fare finta di niente».

MATRIMONI OMOSESSUALI
AVVENIRE – La notizia di apertura è il «no alle nozze omosessuali» della Consulta, che ieri ha respinto i ricorsi sulla incostituzionalità del rifiuto delle nozze tra persone dello stesso sesso dichiarandoli «inammissibili e infondati». In titolo in prima pagina è “Il matrimonio è uno solo”. «La Corte costituzionale dice “no” al matrimonio tra omosessuali», scrive Pier Luigi Fornari, «ma ancor prima che la Consulta faccia conoscere le motivazioni della bocciatura dei ricorsi che lo peroravano, già il leader storico dei gay, Franco Grillini, detta l’interpretazione mediatica sostenendo che la questione è rimandata al legislatore. In realtà da quello che è dato comprendere il pronunciamento del “giudice delle leggi” non è solo riferito alle competenze ma è nettamente di merito». Di spalla una mappa delle leggi regionali sul tema famiglia e convivenze. Sul tema anche il nettissimo editoriale di Francesco D’Agostino, che scrive che con la decisione della Consulta «vengono respinti i tentativi di abusare del linguaggio e del lessico dei diritti, per far ottenere riconoscimento giuridico a ciò che non lo merita»; nel mondo, ricorda, «è avvenuto che la legge abbia umiliato il diritto e la giustizia ed abbia istituzionalizzato il torto. L’intervento della Consulta ha impedito che un analogo torto venisse istituzionalizzato anche in Italia. Diciamole grazie». Anche per Lorenza Violini, giurista, quella di ieri è «una sentenza di grande importanza, che sancisce definitivamente come la legislazione sul matrimonio nel nostro Paese sia conforme ai principi costituzionali e non sia affatto discriminatoria nei confronti delle coppie di fatto (e di quelle omosessuali, in particolare)». 

CACCIA
LA STAMPA – “Caccia lunga: «È un massacro»”. Si torna a parlare dell’allungamento della stagione venatoria. La legge già approvata dal senato è arrivata in Commissione agricoltura alla Camera, che ha dato il via libera, nonostante Brambilla e Prestigiacomo avessero garantito il loro impegno. Protestano gli ambientalisti. Fulco Pratesi: «Bisognerebbe chiudere la caccia il 20 dicembre o a Natale, altro che prolungarla fino al venti di febbraio».


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