Non profit
Social Card a 133 euro. Sfida vera alla povertà
Una proposta lanciata dalle Acli. Lo studioso che l'ha pensata, la presenta
di Redazione

La Carta Acquisti è il primo strumento pensato per durare negli anni. Ed è potenzialmente adatto a combattere
la povertà assoluta. Ma va cambiato. CosìIn questo periodo si parla molto di riforme bipartisan. Il Paese ne ha evidentemente bisogno e l’inizio di un triennio senza elezioni rappresenta un’opportunità da non perdere. Il dibattito pubblico sulle riforme ha sinora toccato il sistema istituzionale, forme di governo e il sistema elettorale, e l’economia, sostegni alle imprese e liberalizzazioni.
Perché la prima riforma bipartisan non potrebbe riguardare le famiglie che vivono la povertà più dura, quella cosiddetta “assoluta”? Perché non elaborare una proposta concreta e spendibile in questa direzione? Da tali stimoli è nato il gruppo di lavoro promosso dalle Acli – in particolare dal presidente Andrea Olivero e dalla responsabile del dipartimento Welfare, Vittoria Boni – e coordinato da chi scrive.
Criticare, infatti, non ci basta. Vogliamo avanzare proposte, e proposte che non siano vaghe o irrealistiche bensì concrete e realizzabili. Per formulare una proposta concreta bisogna partire dall’esistente, anche perché oggi una misura per i più poveri esiste. Partiamo, quindi, dalla Carta Acquisti, introdotta a fine 2008, ne valorizziamo i punti di forza e proponiamo di modificarne i punti di debolezza.
È la prima volta che un governo italiano introduce una prestazione contro la povertà destinata a rimanere negli anni, in passato ci si era fermati a sperimentazioni o a interventi una tantum. Questo è il principale aspetto positivo, che non è stato sottolineato a sufficienza. Un’altra positività è che per decidere chi la riceve ci si riferisce alle condizioni non dei singoli ma della famiglia (in particolare attraverso l’Isee), prassi ancora poco diffusa negli interventi nazionali.
I cambiamenti ipotizzati cominciano dall’utenza. Oggi possono ottenere la Carta le famiglie in povertà assoluta con persone di almeno 65 anni o con bambini entro i 3 anni. Prevediamo di ampliare l’utenza così da raggiungere tutte le famiglie in povertà assoluta, oltre un milione, pari al 4,2% del totale di quelle residenti nel nostro Paese. Inoltre, mentre attualmente la Carta è erogata esclusivamente ai cittadini italiani, riteniamo che debba essere estesa la possibilità di fruirne alle persone straniere, comunitarie o extracomunitarie, legalmente residenti in Italia da un certo numero di anni.
Il valore corrente è 40 euro mensili, uguali per tutti. Noi proponiamo di salire a 133 euro mensili medi, che si differenziano in base alle condizioni di povertà; le famiglie in situazione di particolare disagio ricevono un importo superiore alla media. Ciò significa un incremento medio del 23% del reddito familiare, valore che per circa la metà delle famiglie utenti supera il 40%.
Oggi l’importo della Carta è il medesimo in tutta Italia mentre il costo della vita è diverso: è superiore nel Nord rispetto al Sud e nei grandi comuni rispetto ai piccoli comuni. In questo modo chi vive nelle città più grandi e nel settentrione è svantaggiato perché la Card gli assicura un minore potere d’acquisto. Proponiamo di graduare l’importo in base al costo della vita dei diversi territori, così da renderne uguale il potere d’acquisto.
Oggi gli utenti ricevono esclusivamente un contributo economico: vogliamo accompagnarlo con l’erogazione di servizi alla persona. Si tratta di assicurare una valutazione multidimensionale della condizione sociale della famiglia da parte di un operatore adeguatamente formato, a cui far seguire la stesura di un progetto d’integrazione. In base alle necessità sono, quindi, da erogare servizi formativi, d’inserimento professionale, di istruzione, di cura o di altro tipo. La parte di servizi è sotto la responsabilità dei Comuni – aggregati a livello di ambito sociale territoriale per meglio gestirla – che ne sono i registi e il terzo settore ha un ruolo di rilievo.
Infine, la nuova Carta (prestazione monetaria più servizi) costituirà un livello essenziale delle prestazioni sociali, il primo per le politiche sociali a essere introdotto nel nostro Paese. Diventerà così un vero diritto di cittadinanza nazionale per le persone povere.
Quello delineato sin qui è lo scenario al quale si vuole giungere progressivamente in tre anni, attraverso il Piano 2010-2013 contro la povertà assoluta. Vogliamo introdurre il cambiamento gradualmente e con un’approfondita opera di monitoraggio e valutazione.
Per realizzare la riforma è necessario stanziare – in ognuno dei tre anni del Piano – ogni anno 665 milioni di euro addizionali rispetto al precedente (pari allo 0,04% del Pil). Il percorso di graduale incremento porta ad avere a regime – cioè a partire dal 2013 – una spesa annua di circa 2 miliardi superiore rispetto ad oggi. I finanziamenti debbono essere recuperati all’interno del bilancio pubblico esistente: siamo contrari ad aumenti delle tasse o della spesa pubblica. Presenteremo nelle prossime settimane un elenco di voci della spesa attuale, di diversa natura, dalle quali è possibile ricavare 665 milioni annui. L’elenco confermerà un punto ben noto agli economisti: 665 milioni costituiscono un volume di risorse contenuto rispetto agli abituali flussi della spesa pubblica, in presenza di una volontà politica nella direzione prospettata si tratta di una riforma agevolmente finanziabile.
Esistono diversi motivi per sostenere la proposta.
? Primo. Costituirebbe la più incisiva riforma a favore delle famiglie in povertà della nostra storia. Per le famiglie povere mai sono stati introdotti un incremento di reddito medio del 23% e la possibilità di ricevere servizi alla persona.
? Secondo. Raccoglie il consenso degli esperti. Estensione dell’utenza, incremento degli importi, aggiustamento in base al costo della vita, valorizzazione dei servizi alla persona: su questi come sugli altri aspetti della proposta esiste elevato consenso tra gli addetti ai lavori.
? Terzo. La spesa è affrontabile. Avremmo voluto una riforma più ambiziosa, ma abbiamo cercato un punto d’incontro tra il nostro desiderio di migliorare il welfare e i vincoli della finanza pubblica, proponendo uno stanziamento inferiore a ciò che sarebbe auspicabile. In questo contesto, se qualcuno affermerà «non si può realizzare la riforma perché costa troppo» la sua affermazione sarà traducibile come «è una scelta politica non approvarla».
? Quarto. È l’unico modo di realizzare le riforme. Il metodo proposto, quello di un approccio pragmatico e incrementale, è il solo possibile se si vogliono realizzare riforme capaci di consolidarsi. Si parte dagli interventi esistenti – per noi la Social Card – se ne valorizzano quelli che l’esperienza ha mostrato essere i punti di forza e si modificano i punti di debolezza. Si costruiscono percorsi graduali all’interno di quadri di riferimento pluriennali ben definiti, con un forte investimento su monitoraggio e valutazione dei risultati.
Sul sito delle Acli si trovano maggiori dettagli sulla proposta e, nelle prossime settimane, presenteremo numerosi approfondimenti su suoi specifici aspetti. Le scelte politiche per il prossimo triennio si definiscono da qui a luglio. Faremo del nostro meglio affinché l’idea di una riforma bipartisan contro la povertà assoluta prenda piede: speriamo che i lettori di Vita la vogliano sostenere.
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