Politica
Se siamo un milione ci facciamo la legge
Uno strumento per abbattere le barriere tra cittadini e istituzioni. A cui la Commissione ha messo molti paletti Ma c'è già chi comincia a lavorarci...
Il 31 marzo la Commissione Europea ha adottato una proposta che potrebbe rivelarsi rivoluzionaria in termini di attivismo e di partecipazione politica, il tanto atteso ponte in grado di rafforzare il rapporto tra cittadini e le istituzioni comunitarie. Si chiama «Iniziativa dei cittadini» e darà agli europei la possibilità di influire direttamente sull’agenda e sulle decisioni della politica della Ue. «Non è una petizione né un sondaggio», spiega Bruno Kaufman, presidente dell’Initiative and Referendum Institute Europe. «È una sorta di processo elettorale in grado di conferire ai cittadini il ruolo di legislatori o promotori di legge. I cittadini potranno proporre una legge e formalizzare un percorso legislativo. Fino ad oggi, solo il Consiglio e il Parlamento Europeo avevano questo diritto».
Una volta approvata dal Parlamento europeo, entrerà in vigore una forma di democrazia diretta, inclusa nel Trattato di Lisbona come una sorta di antidoto a quel deficit di democrazia che gli euroscettici imputano alle istituzioni comunitarie. Rispetto al Trattato, però, la Commissione ha inserito una serie di “paletti”, che in qualche modo limitano l’iniziativa dei cittadini. Il milione di firme devono provenire da un terzo degli Stati membri (nove) e per ogni Stato interessato le firme devono rappresentare almeno lo 0,2% della popolazione. Individui o gruppi organizzati hanno un anno di tempo per raccogliere tutte le firme. Dopo tre mesi, i diretti interessati dovranno presentare le loro proposte alla Commissione, la quale, poi, si esprimerà sull’autorizzazione a procedere.
Nel tentativo di evitare un sistema in stile americano dove il denaro, qualche volta, conta più dell’opinione pubblica, nella proposta è stato altresì definito il fatto che le organizzazioni che presentano le petizioni devono per prima cosa dimostrare che non sono una lobby né un gruppo che rappresenta degli interessi speciali. La commissione si riserva inoltre il diritto di rifiutare qualsiasi richiesta che a suo pare appaia «priva di ogni serietà», «abusiva», o che contraddica «i valori europei».
La Commissione sottolinea inoltre che «il punto di partenza del processo legislativo europeo non si basa sugli interessi nazionali, ma sull’interesse comune europeo». Le organizzazioni nazionali non potranno mettere in agenda questioni puramente nazionali. Il testo incoraggia questi gruppi a lavorare con i loro corrispondenti partner in diversi Paesi per elaborare proposte che riguardino l’intera comunità europea.
Le reazioni sono state varie. Molti osservatori, compreso il blogger European Citizen, sono preoccupati del fatto «che le norme proposte sono troppo rigide». Per soddisfare i criteri richiesti dall’Ue, gli individui o i gruppi organizzati devono sostenere un livello di organizzazione sproporzionato rispetto alle loro capacità. Ma c’è chi punta su tecnologia e social networking per aggirare le difficoltà. Avazz.org, un’organizzazione attivista online, è già al lavoro per avvalersi di questo strumento innovativo. La sua prima iniziativa è stata quella di costituire un gruppo di un milione di voci per far valere un divieto sui cibi geneticamente modificati fino al termine del processo di ricerca. La tecnologia potrebbe essere proprio l’ingrediente mancante che permette agli individui e a i gruppi organizzati di sfruttare efficacemente l’iniziativa dei cittadini. Margot Wallstrom, ex commissario alle Comunicazioni UE, si augura anzi che sia uno strumento che possa creare dei grattacapi alla Commissione Europea: potenziali conflitti con la Commissione starebbero a significare che l’UE sta finalmente maturando un relazione con la gente.
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