È il Paese su cui Emergency ha investito di più. Una presenza a volte discussa, ma con numeri indiscutibili. In 11 anni nei suoi quattro ospedali ha curato gratuitamente 2,5 milioni di persone, costruito un centro per la maternità che ha visto nascere 7.300 bambini, e attivato 28 centri di primo soccorso Giorni difficili per Emergency, difficilissimi. Un unico fatto centrale: tre operatori italiani di Emergency – Marco Garatti, Matteo Dell’Aira e Matteo Pagani – arrestati/prelevati dall’ospedale di Lashkar-gah, nella provincia di Helmand in Afghanistan, in seguito a un ritrovamento di armi nell’ospedale e, per ora (martedì sera 13 aprile), ancora nessuna accusa formalizzata. Nel vortice di notizie confermate, smentite, ritrattate, rilanciate in un’altalena mediatica quasi impossibile da seguire sulla vicenda, ecco un quadro di come opera l’associazione in Afghanistan. Molto infatti si è detto sulla “politica” dell’associazione e sono in molti a chiedersi in questi giorni se questo arresto non sia dovuto al fatto che Emergency ha fatto un po’ troppa “politica”. In effetti, se la “politica” si fa a colpi di numeri, c’è da stare certi che di “politica” Emergency in questi anni ne ha fatta parecchia.
Un numero su tutti: 2 milioni 500mila. È il numero di persone curate in tutto il Paese gratuitamente in 11 anni di presenza in Afghanistan (dal 1999). 4: è il numero di ospedali costruiti nel Paese. Il primo, dedicato alle vittime di guerra, ad Anabah, villaggio della valle del Panshir allora controllata dai mujaheddin del comandante Massud, risale infatti al 1999. Nel 2003, in seguito alla fine dei combattimenti tra mujaheddin e taliban, con l’apertura delle unità di pediatria e di medicina interna è diventato l’ospedale di riferimento per l’intera valle. In quell’anno è stato integrato anche con un centro di maternità per far fronte a un’altra emergenza: quella della mortalità durante il parto. L’Afghanistan ha infatti uno dei tassi di mortalità legati al parto più alti al mondo: l’Oms stima che nel Paese ogni mezz’ora una donna muoia per complicazioni durante il travaglio. Ed ecco un altro numero: più di 7.300 bambini nati nel centro in 6 anni di attività. Un altro numero molto interessante: 28, il numero dei Fap, centri di primo soccorso attivati da Emergency che lavorano in tutto il Paese per fornire i primi aiuti ai feriti e, nei casi più gravi, per trasportarli in uno degli ospedali più vicini. Questi centri offrono assistenza 24 ore al giorno con personale locale adeguatamente formato e costituiscono per centinaia di migliaia di persone l’unico punto di riferimento sanitario disponibile, soprattutto nelle montagne e in aree densamente minate.
Ma la “politica” di Emergency non si è fermata qui: anzi, ha rincarato la dose, decidendo di costruire un secondo ospedale, stavolta dall’altra parte della barricata, a Kabul.
Durante il conflitto tra taliban e mujaheddin, Emergency ha infatti aperto un secondo Centro chirurgico a Kabul, allora governata dai taliban. Un ex asilo bombardato, nel centro della città, è diventato il nucleo dell’ospedale che ha avviato le attività cliniche nell’aprile 2001 (centro temporaneamente chiuso in seguito a un’incursione armata della polizia religiosa taliban, e poi riaperto nel novembre 2001, durante la guerra intrapresa da Stati Uniti e Gran Bretagna). Anche qui i numeri: più di 86mila persone curate (ambulatorialmente o ricoverate).
Ma veniamo all’ultimo progetto, in cui si sono svolti i fatti di questi giorni, l’ospedale di Lashkar-gah, un ospedale che opera gratuitamente in aree totalmente prive di sanità gratuita e di assistenza chirurgica specializzata. Qui i pazienti curati dall’apertura nel 2004 sono 66mila, di cui il 46% ricoverato per cause di guerra. Combattenti, talebani, terroristi? No (e qui il numero è un brivido), il 41% di questi pazienti è un bambino e il 9% una donna. Per la chirurgia poi i numeri della “politica” si increspano ancora di più: il 63% dei pazienti è stato operato per cause di guerra.
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