Salute

Aids: progetto Iss contro contagio madre-figlio

100 ricercatori e tecnici dell'istituto superiore di sanità scendono in campo per l'emergenza Aids nel sud del mondo.

di Redazione

Primo obiettivo è quello di salvare i bambini africani, proteggendoli dal primo e più terribile contagio, quello passato dalla madre durante la gravidanza o dopo, con l’allattamento: 100 ricercatori e tecnici dell’istituto superiore di sanità scendono in campo per l’emergenza Aids nel sud del mondo.

Lavoreranno per mettere a punto nuove cure (con un budget iniziale di 6 miliardi), fra le quali un vaccino in sperimentazione, tentando prima di tutto di frenare la corsa della malattia in Africa. Su un totale di 36 milioni di malati di Aids nel mondo, solo nell’Africa Sub-Sahariana se ne contano oltre 25 milioni, e una donna incinta su 5 è sieropositiva.

Lo studio si chiamerà Simba, come il leoncino africano protagonista del film di Disney ‘Il re leone’, e tenterà di bloccare l’infezione nei neonati, figli di sieropositive, durante l’allattamento. Ai piccoli, i medici daranno un farmaco antiretrovirale per 6 mesi che, ha spiegato Stefano Vella, direttore dell’istituto di epidemiologia dell’Iss, sarà prodotto in confezioni monouso speciali che non necessitano la conservazione in frigorifero come avviene in Europa.

La sfida dei ricercatori è infatti quella non solo di trovare le giuste armi contro l’epidemia ma anche di adattarle al difficile contesto africano, dove le donne sono doppiamente indifese: biologicamente nei confronti della malattia, socialmente e culturalmente. In Italia infatti le nuove cure hanno permesso di annullare quasi il contagio madre-figlio: le terapie antiretrovirali bloccanoil passaggio del virus ai neonati. I piccoli, per evitare ogni rischio, non vengono poi attaccati al seno.

Lo scorso anno, in Italia, è nato solo un bambino sieropositivo, un vero e proprio successo. Con Simba verranno arruolate fra un mese 400 donne incinte in Uganda e in Ruanda. Ma i ricercatori, ha aggiunto Vella, stanno cercando fra l’altro anche di mettere a punto uno strumento ad hoc per le donne: un gel vaginale in grado, forse, di combattere l’infezione durante il rapporto sessuale. Ma i tempi, ha ammesso Vella, sono lunghi, ci vorranno, infatti, almeno altri 5 anni.

Infine, gli esperti italiani studiano l’ottimizzazione delle terapie con gli antitrovirali: i farmaci infatti hanno dato eccellenti risultati nella cura dei malati ma con pesanti effetti collaterali. Forse è possibile curare i pazienti alternando la terapia a un periodo di sospensione dei farmaci (3 mesi circa) migliorando così la qualità della vita, ma ci vorranno molti mesi ancora prima di avere una risposta definitiva.

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