Formazione

La faccia

Nono appuntamento con i racconti dell'estate: Tiziano Scarpa

di Tiziano Scarpa

In tasca ho l?unica foto che è rimasta. Ci sono cinque ragazze in divisa da scout attorno alla brandina, fuori dalla tenda. Lui sta ridendo a crepapelle, in canottiera, sopra il sacco a pelo. Le ragazze sono buttate sopra il suo corpo.
In mezzo alle loro teste spuntano solo la sua faccia e le spalle. Più in basso una capigliatura bionda si accanisce sopra la sua pancia, in mezzo alle altre quattro masse di capelli castani e bruni. Sembra un?orgia sotto il sole del mattino. I sei corpi riempiono di carne e stoffa tutto il rettangolo dell?inquadratura. Una quantità di braccia e maniche di camicia come serpenti gli annodano il petto, mani gli corrono lungo i fianchi come granchi.
Se uno è andato al liceo non può fare a meno di pensare a quelle donne scatenate che divorano i poeti crudi nelle foreste mediterranee. In effetti due ore dopo è arrivato morto in ospedale, per un collasso cardiaco causato dalle convulsioni. Nella foto è ancora vivo sotto le cinque scout che gli fanno il solletico.
Lo hanno svegliato di colpo trascinandolo fuori dalla tenda e lo stanno facendo urlare dal ridere.
Uno scherzetto da adolescenti. Lo stanno uccidendo senza rendersene conto.
Ha la bocca aperta, le guance allungate, gli occhi tirati. Il fotografo ha avuto il suo bel daffare per ingrandire i particolari e ritoccargli la faccia. Ha cancellato le pieghe della pelle sulla fronte e ha ingentilito come ha potuto le sopracciglia. Gli ha scavato un po? di bianco ai lati delle iridi. Ha cercato di chiudergli la bocca il più possibile, stringendo l?immagine in una morsa. Gli ha deformato il cranio, ha stritolato il rigor mortis della fotografia. L?immagine sulla lapide sembra il ritratto di uno spavento che si mette a cantare di fronte a un mostro. La tomba è al quinto piano della parete di loculi, devono aver pensato che poteva andare bene anche così, da terra la foto non si riesce quasi a vederla. Accucciati sul catafalco a ruote, a cinque metri d?altezza, i due uomini in tuta scura svitano le borchie di bronzo e tolgono la lastra. La cassa la fanno scorrere fuori su una specie di binario. Qualcuno preme un bottone, il motore elettrico ricomincia a ronzare. L?impalcatura si rattrappisce, si affloscia su se stessa. Le bande di metallo ai lati si piegano a fisarmonica e il catafalco si abbassa. La piattaforma scende fino a terra. Il funzionario del cimitero mi accompagna lungo i viali. Borbotta in mezzo ai muri di tombe, mi parla di prassi e procedure lungo i condomini di morti. I due uomini in tuta spingono il carrello con la cassa. Arriviamo davanti a una specie di garage cattolico. Il tetto basso sopra una stanzetta grande come un box per le automobili. Entriamo. I due uomini in tuta si mettono a lavorare con la fiamma ossidrica. Sciolgono la colla di metallo che sigilla il cofano a forma di siluro dentro la cassa. Il funzionario mi consegna i moduli. Mi guardo intorno cercando un ripiano dove compilarli, lontano dalla cassa, lontano dagli uomini in tuta con la fiamma ossidrica. Non voglio bruciarli con le scintille che sprizzeranno dalla punta della mia penna a contatto con le caselle bianche del modulo. Avrei bisogno di uno scudo di metallo anch?io, una maschera con la finestrella di vetro blu davanti agli occhi, per scrivere. Mi metto comodo sull?inginocchiatoio sotto il crocefisso. Scrivo la data di oggi, 25 luglio 1997. Il mio nome e cognome, la mia data di nascita, 16 maggio 1963. Poi scrivo il suo nome e cognome, la sua data di nascita, 21 ottobre 1945, la data di morte, 9 agosto 1962. Dovrò scrivere che l?ho riconosciuto. Sto per dichiarare di aver riconosciuto un volto morto che non ho mai conosciuto da vivo. Quando mi rialzo in piedi gli uomini in tuta stanno ribaltando il coperchio. Il funzionario del cimitero mi stringe il polso e mi dice un paio di parole sensate, qualcosa di umano. Non ho bisogno di essere consolato, gli dico, non sono per niente nervoso, guardi, davvero non sono mai stato così calmo. Sono un uomo fatto ormai, mi vede? Ci vuol altro che il cadavere di un diciassettenne per scombussolarmi, un ragazzino che non ha nemmeno la metà dei miei anni.
Bisogna preoccuparsi per lui, piuttosto. È lui quello debole di cuore, non io. Bisogna avvertire quel corpo dentro la cassa, nessuno gli ha ancora detto che nel frattempo ha avuto un figlio. Potrebbe rimanere sconvolto a vederselo davanti così, grande e grosso, spregevolmente adulto. Potrebbe sbarrare gli occhi, rialzarsi mettendosi seduto dall?interno della bara per urlarmi in faccia.
Socchiudo le palpebre davanti alla cassa aperta e prego, a bassa voce, padre morto sepolto a metà strada fra cielo e terra, sia sbeffeggiato il tuo nome, il cognome che mi hai affibbiato, sia disfatta la tua volontà, da me che sono la tua sconsideratezza fatta carne e ossa, la tua volontà è uscita fuori di te, te la sei lasciata scappare dentro un fiotto di piacere quando mi hai concepito senza saperlo, dentro un sacco a pelo, sei morto dal ridere la mattina dopo, ucciso dal solletico di una biondina che avrebbe voluto venire a svegliarti coprendoti di baci, ma non poteva gridare davanti a tutti la sua felicità per la vostra prima notte d?amore, è venuta a tirarti fuori dalla tenda con le sue amiche per farti uno scherzo e mascherare le carezze con il solletico, hai messo incinta una ragazzina di quindici anni che è impazzita dalla vergogna, dai sensi di colpa appena se n?è resa conto, la mamma ha perso tutti i suoi capelli biondi prima ancora di partorirmi, venga il mio regno adesso, ora che ho finito di crescere accanto a una madre e calva, il pane quotidiano non me lo hai certo dato tu, i miei crediti verso di te non me li può risarcire nessuno dei miei debitori, e non mi indurre in tentazione di riderti in faccia, hai riso talmente bene, hai riso per ultimo una volta per tutte, hai irrigidito per sempre questo sorriso all?angolo della bocca, te lo sei tenuto in cima a questo viso sfacciatamente ben conservato perché io lo vedessi bene, adesso. Ho trentaquattro anni, sapete?, dico agli uomini in tuta e al funzionario del cimitero, guardatemi bene, il doppio dell?età di questo qui, e mentre lo dico sento che in questo preciso istante ho finito di essere giovane.

Tiziano Scarpa: uno scrittore pulp ma non troppo. Anzi, per niente
Prosegue la serie dei racconti inediti scritti da affermati autori appositamente per ?Vita? sul tema ?Genitori e figli?. Questa settimana è il turno di Tiziano Scarpa.
Nato a Venezia nel 1963, ha scritto ?La notte in cui Dio apparve sui teleschermi?, un paradossale racconto sulla televisione italiana. Ha conosciuto il successo l?anno scorso con il suo primo romanzo ?Occhi sulla graticola?, pubblicato da Einaudi e recensito come il miglior romanzo italiano pulp. Oggi collabora con diverse testate giornalistiche. Vive a Milano, dove lavora come redattore presso la casa editrice Feltrinelli.
Sugli scorsi numeri abbiamo già pubblicato i racconti di Luca Doninelli, Davide Rondoni, Bruno Rinaldi, Raul Montanari, Sandro Onofri, Erri De Luca, Vincenzo Gambardella ed Enzo Fontana. Prossimamente sarà il turno di Chiara Zocchi, Aurelio Picca, Davide Voltolini e Paola Capriolo.

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