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Genova: mancano 20 giorni al G8

Usiamo il cervello, non i bastoni. Due o tre questioni serie per gli otto potenti e per chi li contesta

di Riccardo Bonacina

Dopo che Luca Casarini, leader dei Centri sociali del Nordest, ha preso il posto delle Arcuri e delle Canalis su Espresso e Messaggero, verrebbe voglia di mandare al diavolo il G8 e tutti i Gi-ottini (il logo è bell’e pronto e i contestatori impacchettati un mese prima della contestazione).

Dopo che le facce (più che le ragioni) del movimento anti G8 hanno conquistato i salotti televisivi e persino i pulpiti delle chiese, verrebbe voglia di dire con Grillo: «Il 20 luglio tutti al mare, tranne che a Genova». Verrebbe voglia di mandare tutti al diavolo, giacché le iperboli della comunicazione mischiano il vero al falso e hanno la prerogativa di confondere il tutto (numeri e ragionamenti) e di ridurre ogni cosa alla banalità sloganistica d’obbligo, a chi ricerca innanzitutto il consenso e l’applauso. Così in questi giorni il dibattito è diventato strabordante e irreale, astratto. Invece dobbiamo resistere, turarci il naso e spesso chiudere occhi e orecchie, e continuare a ragionare. Ce n’è bisogno perché le questioni in gioco sono davvero cruciali. Mi limito qui ad accennarne due. La prima. Il dibattito di questi giorni mi ha fatto ricordare una pagina di Ulrich Beck (La società del rischio, ed. Carrocci, pag. 261). Nel 1986 Beck scriveva: «Da un lato si sottolineano sempre più le limitate capacità di controllo e di intervento dello Stato sugli attori della modernizzazione. Dall’altro, nonostante tutte le critiche alle limitazioni del campo d’azione politico, permane la fissazione sul sistema politico come centro esclusivo della politica. Alla difesa delle condizioni restrittive dell’agire politico non ha mai fatto da contrappunto la questione se l’altra società possa uscire, senza votazioni e consapevolezza, dal laboratorio». Questa questione, a distanza di oltre 15 anni, rimane cruciale e interpella sia il Governo meno politico della storia repubblicana, sia i movimenti della società civile che contestano la globalizzazione non partecipata e i loro leader. Il Governo, il Berlusconi II, un esecutivo in balia del corporativismo e dei gruppi di interesse. I movimenti della società civile che stanno in una situazione di stand by tra lo scegliere di diventare una vera e nuova soggettività politica e il limitarsi a essere attori, tra gli altri portatori di interesse, nella zona grigia del corporativismo.
Il caso più emblematico è proprio in uno dei volti più noti e intelligenti tra i leader del movimento anti G8: Ermete Realacci, eletto nelle liste della Margherita e che ha tutta l’intenzione di restare presidente di Legambiente. Un caso che esprime tutto l’imbarazzo in un passaggio epocale dagli antichi collateralismi alle nuove forme di rappresentanza politica, che restano ancora da inventare.

La seconda. Il movimento anti globalizzazione ha sancito nel corso dell’ultimo anno lo scisma definitivo da uno degli articoli di fede che stavano alla base della pace sociale in tutte le democrazie ricche e occidentali e nel rapporto tra loro e il resto del mondo: l’equazione tra progresso tecnico-scientifico e progresso sociale. Questa fiducia è ormai largamente venuta meno, anzi, in larghi strati dell’opinione pubblica occidentale si fa sempre più strada l’ipotesi che sia proprio il progresso tecnico-scientifico all’origine di tanti nostri mali, e sicuramente stia all’origine della gran parte dei drammi e dei disastri dei Paesi poveri. Il tema è destinato a diventare esplosivo quando anche nei paesi più poveri si farà strada lo scisma dalla fede nel progresso come panacea di tutti i mali. Allora non si accontenteranno più di chiedere di partecipare in qualche modo al banchetto dei ricchi e dell’Occidente (come periodicamente fanno i Paesi Arabi chiedendo qualche dollaro in più sul prezzo del petrolio), ma punteranno i piedi sino a che verrà stabilito un nuovo patto, un nuovo sistema mondiale di pari opportunità.

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