Cultura

Stesso sesso, stessa fede

L’esperienza dell'associazione Guado, che da vent'anni riunisce gli omosessuali cattolici. Ne parla il coordinatore Gianni Geraci.

di Redazione

Se il gay pride a Milano è stato un momento di incontro più che di scontro con la città; se è stato anche un momento di riflessione culturale, il merito va anche a loro, gli omosessuali cattolici. Costretti da sempre a vivere in un limbo, perché due volte marginali ? nella chiesa e nella società ? questa volta, con grande dignità, hanno scoperto la loro faccia e si sono giocati nell?organizzazione dell?evento milanese. Infatti nel coordinamento del gay pride c?era anche la sigla del Guado. Un nome storico, con quel suo sapore ancora da anni 70. Il Guado ha avuto il suo battesimo nel 1980. Gianni Geraci, che allora non ne faceva parte ma che oggi ne è un po? l?anima, ricorda perfettamente la data: «Era il 20 dicembre». L?iniziativa fu di Ferruccio Castellani. Poi venne l?incontro con una sacerdote, che per tutti gli omosessuali cattolici sarebbe sempre rimasto come un riferimento importante: don Domenico Pezzini. è una storia lunga e cucita con grande pazienza quella del Guado. E una storia anche di crisi e di scissioni. Come quella che portò all?uscita di don Pezzini a metà anni 80. Il sacerdote fondò un altro gruppo, ancora attivo a Milano, La Fonte, mentre il Guado trovò prima ospitalità nella chiese valdese di via Francesco Sforza e poi prese una sede propria in via Pasteur. «Da don Pezzini ci hanno differenziato alcune scelte di fondo», spiega Geraci. «Per noi la figura del prete non è centrale. Ci consideriamo un?associazione di laici e ci rivolgiamo a tutti, senza chiedere preventivamente consenso su un cammino prestabilito di preghiera. E poi noi abbiamo iniziato ad avere rapporti con il movimento gay, sfociati nell?adesione al Gay pride e alla partecipazione al coordinamento organizzativo». Oggi il Guado ha gruppi sparsi per l?Italia, con realtà più consistenti a Milano, Roma, Torino e Catania. Ha un sacerdote di riferimento, don Gregorio Crema, e ha anche pubblicato un libro, il Posto dell?altro, che raccoglie le riflessioni di tanti suoi aderenti. «Come ha detto Franco Gnerre, non sentiamo come estraneo niente di ciò che appartiene alla nostra umanità», dice Geraci. «Così quel libro racconta di un vissuto più che tentare un approccio teologico alla nostra esperienza». E dalla Chiesa come vi sentite accolti? «Oggi le comunità sono accoglienti. A livello di mentalità c?è stato un grande cambiamento. Anche se tutto resta confinato a un livello privato e personale. Sul momento pubblico c?è ancora molta paura. A volte posso anche capire. E poi qualche colpa ce l?abbiamo anche noi, quando usiamo la Chiesa solo per far esplodere le sue contraddizioni». Poi Geraci racconta altri risvolti che segnano la vita del Guado. «Abbiamo tra noi molti anziani. E per un omosessuale l?invecchiare è spesso un?esperienza di solitudine. Non si ha famiglia e quindi il legame con gli amici diventa l?unico punto di contatto con il mondo. Questa è diventata una delle missioni del nostro gruppo. Due anni fa uno di noi si è ammalato. Era solo. Si vedeva che ci chiedeva una cosa sola: di non morire squallidamente. Abbiamo capito che su quella sotria ci giocavamo la nostra credibilità, e abbiamo assicurato l?assistenza, stando a turno a casa sua. è stata un?esperienza importante». Anche questo è Gay pride.


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