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Latte e miele nella terra mai promessa di Alessandro Di Gaetano da Gaza

Palestina. Continuano gli aiuti italiani Tra paura di ritorsioni e pietà per le vittime degli attentati, i cooperanti del Cric a Gaza portano viveri ai bambini degli asili nei campi rifugiati.

di Redazione

Il momento è arrivato, si comincia. Il progetto di emergenza proposto dai ragazzi del Cric, Gianluca e Carla, esce oggi dalla fase organizzativa ed entra in quella operativa: in questo caso la distribuzione di un pacco con generi alimentari e di vestiario. Un pacco da donare a beneficiari scelti nell?ambito di famiglie povere di campi profughi e di bambini, con relative famiglie, che seguono i corsi in alcuni asili della striscia di Gaza, dentro e fuori i campi. È una giornata particolare su cui pesa la tensione, altissima, causata dalle decine di morti della bomba esplosa a Tel Aviv. Lo sgomento e la rabbia degli israeliani fa temere alle organizzazioni internazionali di Gaza un imminente bombardamento di ritorsione. Pertanto fin dal mattino si preparano a evacuare quasi tutte le strutture dell?Onu e della Comunità Europea, e molti cooperanti si aggregheranno poi al convoglio quando, alle prime ore del pomeriggio, si avvierà verso Gerusalemme. Anche i palestinesi, ovviamente, sono attoniti e la città ha un aspetto surreale: incredula e rassegnata al peggio. Fin dalla sera, dopo la bomba, il centro abitato è deserto. Poche luci, qualche auto che passa veloce e la striscia di mare buia, segno che i pescatori non sono usciti in mare. Gaza vive una silenziosa notte d?attesa. Sveglia alle cinque Gianluca e Carla hanno la sveglia alle cinque e mezza del mattino, quando fuori il sole non è ancora sorto. Dover passare il check-point di Deir al Balah quando si ha fretta di arrivare a Kahn Yunis, anche senza l?incognita della reazione israeliana, costringe a levatacce. Oggi il rischio più plausibile è che il check-point sia chiuso. Con Sami, un operatore locale, si discute: certo non si rimane indifferenti davanti alla morte di tanti ragazzi. La notizia più importante è che per le nove del mattino ci sarà una riunione di Sharon con i suoi ministri per decidere sul da farsi. Quindi almeno fino alle dieci non dovrebbero esserci sorprese. Passato il check-point in tempi ragionevoli, al magazzino sono in attesa gli altri operatori locali. Per seicento mila lire al mese circa, nei sei mesi del progetto, sei persone si alternano con altri disoccupati della zona per meglio distribuire il reddito, raro, a Gaza. Il camion è arrivato con le ultime cose necessarie a completare il pacco: camice, calze, mutande, scarpe, pantaloni, olio, miele, biscotti. Tutto di produzione locale o araba. Sono controllate un?ultima volta le liste dei beneficiari e si caricano sul camion i pacchi (buste con i simboli di Echo e del Cric) e si parte. Oggi sono due gli asili che saranno serviti dalla ong. Si organizzano due squadre: una va ad un asilo di 180 bambini e famiglie, l?altra, con i responsabili Cric, all?asilo con un maggior numero di bimbi, nel campo profughi di Kahn Yunis. Non c?è solo il pane Non c?è molta differenza tra i normali quartieri di Gaza e i suoi campi profughi, anzi quasi nessuna. Strade assolate, spesso un po? sporche e abbandonate, case costruite con poco senso razionale. I campi profughi che ci si aspetta sono di tende, tutt?al più di baracche. Il punto è che stiamo parlando di un popolo che è profugo da cinquant?anni in quella che era casa sua, e in tutto questo tempo si è passati dalla tenda alle lamiere e poi alla muratura, per chi ha potuto. I cooperanti sono attesi dalla direttrice e dai familiari dei bimbi. Il recente attentato lascia nell?aria molta tensione, ma non basta a fermare la gioia e l?euforia che solo i ragazzini sanno creare quando sono tanti. C?è aria di regali e gente forestiera che esalta la loro curiosità. Creano elettricità. Dopo i primi convenevoli si provvede ad adibire un?aula a magazzino, scaricando dal camion le buste-pacco e scatole di scarpe. Un tavolo è preparato per gli addetti che verificano i nomi dei beneficiari. Alle dieci comincia la distribuzione e alle 12,30 la fila è ancora lunga. Fuori l?aula è la calca: la media per famiglia qui è di sette persone. Alcune signore chiacchierano sotto il porticato, i figli e le figlie scorrazzano felici sullo scivolo, mentre altre fanno il girotondo. Fa un gran caldo e la temperatura sulla soglia della porta dell?aula, dove si accalcano i più, è torrida. Anche l?elettricità dei genitori è palpabile per la lunga coda in attesa. Donne con il velo, bimbi che spuntano tra le gambe dei genitori, qualcuno che piange. Sono in attesa di essere chiamati, uno per uno, dopo aver consegnato la loro carta di identità. Altri schizzano via felici con il loro pacco e le scarpe nuove ai piedi. Le mamme, alle volte i papà, con lo sguardo rincuorato sanno che qualche soldo in meno da spendere del loro budget è salvo ed i figli per un po? avranno di che coprirsi. Le le fatiche del progetto, spiega Gianluca, puntano a dare la possibilità alle famiglie di risparmiare sulle spese necessarie, quali quelle del vestiario per i bimbi, e dare sostegno per le spese alimentari, quali l?olio. Sono soldi che sarebbero dovuti uscire comunque dal borsellino, ma in questo modo possono essere invece salvati e dirottati su altre spese. Soldi che di fatto non ci sono, visto che ad andare a lavorare in Israele ora sono mille contro i quarantamila di prima dell?intifada. Immagino che il miele ed i biscotti, che pure sono nel pacco, ci siano perché non si può vivere di solo pane?.


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