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Con la devolution sanità nel caos

Il via libera al disegno di legge sulla riforma federale della Costituzione solleva preoccupazioni anche nella società civile

di Benedetta Verrini

Il 16 novembre scorso l?aula del Senato ha approvato il disegno di legge che riforma la seconda parte della Costituzione e che prevede la devolution. Complessivamente ha riscritto 53 articoli della Carta fondamentale e non cambia solo la geografia istituzionale dei poteri locali, ma introduce profonde correzioni nella forma di governo, riscrive i poteri attribuiti al capo dello Stato, rimuove il bicameralismo perfetto ridisegnando l?assetto, la funzione e la composizione della Camera e del Senato, non più della Repubblica ma federale. Non essendo stato approvato dalla maggioranza di due terzi, sarà sottoposto al referendum confermativo e l?Unione, insieme a larghi strati della società civile si attiverà affinché, entro tre mesi dalla pubblicazione della legge, un quinto dei membri di una Camera, 500mila elettori o cinque Consigli regionali, si facciano promotori della consultazione. «Questa riforma, sbagliata nel metodo così come nel merito, rappresenta un brutto segnale per il Paese», commenta il presidente delle Acli, Luigi Bobba. «Prima di tutto perché cambiamenti di questa portata dovrebbero essere frutto di una condivisione a livello politico, non di uno scontro. Inoltre, abbiamo la seria e fondata preoccupazione che le dinamiche già scattate tra le Regioni in seguito alla riforma del Titolo V della Costituzione possano ora moltiplicarsi ed esasperarsi in una dinamica contrappositiva, che di certo non farà bene al Paese». A confermare questo allarme è arrivata, proprio nei giorni scorsi, la ?fotografia? dei vari sistemi di welfare regionali scattata dalla Fondazione Zancan. La ricerca era stata pensata proprio a seguito della riforma del 2001, per offrire uno strumento di lettura e indicatori di riferimento per valutare lo stato delle politiche sociali nelle varie Regioni. Il quadro che ne emerge getta pesanti ombre sulla ?tenuta? del sistema in caso di devolution. «Immaginate una famiglia con 20 figli», esemplifica Tiziano Vecchiato, direttore della Fondazione Zancan e curatore del rapporto, «dove i genitori all?improvviso decidono di consegnare a ciascuno un mazzo di chiavi di casa e dicono: «Fate ciò che volete». Se ogni Regione deciderà solo per se stessa, senza un patto di corresponsabilità su come tutelare i diritti dei cittadini, senza un?intesa sugli standard minimi dei servizi fondamentali, sarà il caos». Il rapporto segnala che già oggi la capacità di spesa per le politiche sociali è molto bassa: solo il 35% delle risorse a disposizione risulta effettivamente utilizzato nel corso di un esercizio finanziario, il resto viene rinviato ad anni successivi. «Un fenomeno che comunque non è addebitabile solo a una gestione inefficiente», avverte Vecchiato, «ma anche al fatto che spesso le risorse provenienti dallo Stato giungono a fine esercizio e dunque non sono immediatamente spendibili». Ne è un esempio l?aspro dibattito di questi giorni sul Fondo sociale 2005, che è stato finora liquidato solo per la metà del suo ammontare. In Italia mediamente per ogni cittadino si destinano 61 euro per le politiche sociali, ma dal confronto regionale emergono notevoli differenze. L?Abruzzo è la regione che ha destinato maggiori risorse rispetto al numero di abitanti (77,8 euro), la Puglia (20,9 euro) è il fanalino di coda. E l?impatto sui servizi sanitari, sul quale tante preoccupazioni hanno espresso anche i vescovi italiani? «È interessante vedere come già oggi le maggiori fragilità non si vedono tanto nella spesa ospedaliera», prosegue Vecchiato, «ma nei settori dell?intervento sanitario domiciliare e diurno. Qui le differenze tra le regioni sono macroscopiche». www.fondazionezancan.it


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