Welfare

Ristretti si, ma griffati

Vercelli. Da un anno nella sezione femminile del carcere piemontese si pensano, producono e distribuiscono capi di abbigliamento commercializzati in 120 boutique italiane

di Redazione

n mandato chiaro: «Il ministero ci aveva chiesto un progetto che offrisse un?immagine inedita del carcere». Una stretta collaborazione con gli enti locali: «Grazie al sostegno del Comune abbiamo ottenuto dal Fondo sociale europeo un contributo di 109mila euro». Il coinvolgimento attivo dell?amministrazione penitenziaria, «che ci ha messo a disposizione i locali», e del Cssa – Centro servizi per adulti, «che insieme al Comune ha costituito il comitato etico con il compito di monitorare lo stato di avanzamento del progetto». Ma senza un pizzico di fantasia, Caterina Micolano, referente del consorzio Armes di Vercelli aderente al network di Cgm-Federsolidarietà, non avrebbe mai messo in piedi una delle iniziative di inserimento lavorativo di detenuti meglio riuscite nel panorama italiano. Da un anno nella sezione femminile del carcere piemontese si pensano, producono e distribuiscono capi di abbigliamento commercializzati in 120 boutique italiane (comprese le raffinate Antonioli di Milano e Guy Schardaz di Courmayeur). «Per l?ultima collezione, la primavera-estate 2006, abbiamo in rampa di lancio 20mila capi, un anno fa erano appena 2mila», ricorda la Micolano, ideatrice anche del nome del progetto, che, neanche a chiederlo, si chiama Codice a sbarre. Nella sartoria lavorano quattro detenute sulle 40 rinchiuse nell?istituto. Due italiane e due straniere, assunte da Ghelos, una delle quattro coop di tipo B che aderiscono al consorzio. In base al contratto collettivo di cooperazione sociale l?inquadramento è quello di terzo livello:«le sarte sono equiparate agli addetti specializzati e non agli operai generici», precisa la Micolano. Sono stati due i passaggi cruciali per la buona riuscita del progetto: la formazione, «durata 16 mesi e coordinata da Rocco Manco, un designer professionista, e da Lucia Minniti, anche lei sarta professionista», e la selezione, «un vero e proprio colloquio di lavoro in cui abbiamo misurato le competenze delle 12 candidate preselezionate dalla direzione del carcere». Il successo del progetto non è però il traguardo finale: «Il passo successivo sarà la creazione di polo di produzione extramoenia che possa accogliere le detenute rimesse in libertà. è fondamentale infatti non lasciare le ragazze al loro destino: fino ad ora ci siamo arrangiati con la nostra rete di conoscenze come nel caso di una giovane del Benin che adesso lavora in una sartoria del suo Paese gestita da un?ong che collabora con noi, la Tampet». (S.A.) Info: www.codiceasbarre.it info@codiceasbarre.it


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA