Volontariato

La realtà non fa show

All'edizione 2005 Filmaker a Milano tre film premiati da Vita

di Sara De Carli

È ancora possibile fare comunità a Milano? Sì, e ne abbiamo le prove. In tre film. C?è la comunità di 60 persone, famiglie, gesuiti, e chiunque entri dalle porte aperte, del condominio solidale di Villapizzone. Ma anche quella a due, Ennio e Raimondo, uomini grandi e grossi che vivono in un bilocale del Gratosoglio. Sono portatori di gravi ritardi mentali, e il loro vivere soli, in autonomia, senza operatori fissi e fuori da strutture ad hoc, rilancia ogni giorno la sfida del fare comunità tra le persone del quartiere. Ma ci sono anche le ?comunità temporanee? che d?estate ancora si formano, casualmente e liberamente, attorno a una fontanella. Prospettiva meno immediata, ma vera e poetica. Novanta soggetti Quella di film che raccontassero a tutto tondo cosa significhi oggi fare comunità era la sfida che Vita aveva lanciato in aprile. Perché è il tema sociale per eccellenza, perché è ciò su cui ha deciso di puntare quest?anno, anche attraverso la nuova sfida editoriale di Communitas e con questo debutto nel mondo del cinema, attraverso la collaborazione con Filmaker e l?istituzione delPremio Vita non profit magazine. Nell?edizione di Filmaker che si sta per aprire a Milano – dal 22 al 29 novembre allo Spazio Oberdan – saranno proiettati anche i tre film che quel premio l?hanno vinto: Scene d?interni con topo di gomma, di Massimo Donati; L?estate di una fontanella, di Martina Parenti e Il cerchio caldo di Francesco Mannarini e Elena Salvatori. A Filmaker, in primavera, per la sezione ?Paesaggi umani? sono arrivati una novantina di soggetti. L?équipe organizzativa ne ha preselezionati 23: tra gli autori di questi soggetti selezionati, ben sette avevano raccolto la sfida di Vita. È tra essi che Riccardo Bonacina ha scelto i tre vincitori,che con il finanziamento della testata hanno poi prodotto i loro film. «La collaborazione con Filmaker è nata da un impeto: quello di incoraggiare, anche concretamente, giovani registi a raccontare la realtà oggi così occultata dall?irrealtà dei reality show», spiega Bonacina: «raccontare il mondo attraverso le storie di chi ancora s?ingaggia con la realtà portandoci un po? di speranza e un po? di sogno di una società più a misura d?uomo. Per questo abbiamo selezionato sceneggiature che dessero garanzie produttive e sapessero restituire un paesaggio attraversato da un impeto ideale». Quanto al forte coinvolgimento che un film del genere comporta, tutti gli autori, prima di cominciare le riprese, hanno frequentato a lungo i luoghi e le persone che avevano scelto di raccontare. D?altronde la voglia di mettersi in gioco in prima persona l?avevano evidenziata già nel soggetto: Massimo è tornato nella microcomunità a cui il caso lo aveva assegnato, anni fa, per il servizio civile; Martina spia ciò che succede sotto la finestra di casa sua «in un rimando continuo fra ciò che accade fuori e ciò che succede dentro», mentre per Elena «lavorare su questo soggetto è stato un modo per rielaborare una parte di storia personale e sociale». Insomma, non c?è comunità, non c?è noi, senza la relazione tra un io e un tu.


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