Volontariato

Quelle associazioni troppo di élite

«Volano alto, su temi globali. I giovani però guardano a loro come se fossero ambasciatori dello Stato. Naturalmente non si fidano». Parla Eric Marlières, sociologo e autore di un libro sulle banlieue

di Joshua Massarenti

«Sono molto pessimista per il futuro perché la nostra è una società profondamente malata. Ma se proprio vogliamo cogliere un aspetto positivo di un?ondata di violenza urbana mai così diffusa in Francia, è che ormai sia i media che i governanti non potranno più chiudere gli occhi di fronte al disagio giovanile delle banlieue». Eric Marlière parla con convinzione. In qualità di sociologo, ha passato i suoi ultimi anni a frequentare i giovani dell?ex quartiere operaio di Gennevilliers, periferia nord di Parigi. Dalla sua inchiesta è nato un libro (Jeunes en cité, diversité des trajectoires ou destin commun?, L?Harmattan, 2005), che affronta, tra l?altro, l?abisso che separa i giovani banlieusards dal mondo delle associazioni. Vita: Che profilo sociale possiamo attribuire a questi ragazzi? Eric Marlière: Non si può generalizzare. Di certo, non sono tutti figli di immigrati. Dalla mia inchiesta risulta che la maggior di loro sono figli di operai, protagonisti di traiettorie sociali molto diverse fra loro. Ci sono laureati, disoccupati con alle spalle una carriera scolastica fallimentare, adolescenti fragilizzati da un contesto familiare precario. Ciò che li accomuna è un sentimento di destino comune segnato dalla sfiducia. Vita: La crisi di fiducia nelle istituzioni è evidente. Cosa si può dire delle associazioni? Marlière: Dipende dal tipo di associazioni a cui ci riferiamo. Nelle periferie urbane, ci sono una miriade di piccole associazioni che, prive di fondi sostanziali, non riescono a fare breccia tra i giovani. Se prendiamo in considerazione i grossi calibri come Sos racisme o Ni putes, ni soumises (Né puttane, né sottomesse), devo prendere atto che, in base alle inchieste che ho portato avanti nella città di Gennevilliers, questo tipo di associazioni non hanno nessuna rappresentanza locale. Peggio, sono viste molto negativamente dai giovani, convinti che non fanno altro che stigmatizzare i problemi della banlieue. Nel caso di Sos Racisme, abbiamo a che fare con delle élite che hanno totalmente voltato le spalle ai problemi quotidiani delle banlieue. Vita: E questo si traduce in un?assenza di partecipazione ai movimenti associativi? Marlière: La loro è una percezione quasi cinica che vede nei membri delle associazioni degli agenti dello Stato. Mi è addirittura capitato di imbattermi in una piccola organizzazione che veniva paragonata a una succursale dei servizi segreti… Vita: Che spazi di mediazione sociale rimangono? Marlière: Ai ragazzi non basta più frequentare un centro culturale o una palestra. Vogliono una scolarizzazione di qualità, sbocchi lavorativi. Sono stufi di vivere in quartieri dormitori immersi nel nulla più assoluto. Purtroppo, a questi desideri elementari i mediatori sociali non possono rispondere. Sono diventati dei semplici ambasciatori di uno Stato provvidenza in crisi, chiamati a compiere delle missioni in quartieri periferici difficili. Senza poter dire nulla sulle questioni che contano: il lavoro e le condizioni di uscita dal sistema educativo.


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