Formazione

Amici, vi prego, non lasciate morire l’Etiopia

Un paese piombato nel terrore. Decine di morti. Migliaia di giovani inghiottiti nelle carceri del governo. Il drammatico sos di una cooperante da Addis Abeba

di Redazione

Doveva essere una democrazia, quella di Meles Zenawi, primo ministro dell?Etiopia. Invece dall?inizio di novembre le sue truppe speciali passano di casa in casa nei quartieri più caldi di Addis Abeba arrestando i giovani dai 18 ai 25 anni. Centinaia quelli finiti in carcere senza nessun capo d?accusa. Insieme ai leader dell?opposizione, che hanno denunciato i brogli (confermati dagli osservatori delle Nazioni Unite) nelle ultime elezioni. Zenawi ha dichiarato che quella dell?opposizione e degli studenti «non era una protesta normale». Sta di fatto che ai manifestanti ha risposto con le pallottole. Le notizie che trapelano sono pochissime. Una cooperante italiana, a cui garantiamo l?anonimato, ha scritto a Vita per lanciare il suo drammatico sos.

(E.C.)

Ho deciso di raccontare quello che tanti non possono dire più. Per dare voce ai migliaia di Taddesse, Bekele, Dawit a cui la possibilità di parlare è stata tolta, a volte per sempre. L?Etiopia sta morendo. Muoiono gli ideali di libertà e democrazia, muore la speranza di cambiamento, muore tanta gente che ha creduto in qualcosa e combattuto per essa. C?è silenzio ad Addis Abeba, il silenzio della vita che si ferma. Tutto è deserto: i negozi sono serrati, niente più minibus pieni zeppi, strade animate di persone, animali, vite diverse. La città dichiara così il suo lutto: lutto per i tanti morti negli scontri di questi giorni (circa un centinaio), per le migliaia inghiottiti nell?oblìo di prigioni ignote, per i leader di un partito (quello dell?opposizione) ormai estinto. La furia cieca e violenta del partito al potere li ha schiacciati, i loro nomi allungano l?elenco dei cadaveri nei vari obitori della città. Solo nell?ospedale vicino a casa nostra i morti sono 40. Blindati di militari pattugliano la città: la follia della lotta fratricida. Rastrellamenti notturni di giovani vite trincerate in casa nella speranza di salvezza. Famiglie disperate, urla nel vuoto, lacrime inutili. Ormai le divise sono diventate una immagine tristemente familiare: berretti rossi sulle teste degli Azari? (le truppe speciali del primo ministro Meles Zenawi), rossi come il sangue che sono capaci di spargere al primo ordine, macchine di morte cresciute sugli altopiani tigrini e incapaci spesso di parlare l?amarico, la lingua del paese. La gente di Addis ne è terrorizzata. Sono entrati in casa di un ragazzo di 18 anni che conosciamo. Aveva partecipato a un campo estivo di scambio fra giovani italiani ed etiopi. Un ragazzo che non c?entrava nulla con la protesta di sostegno all?opposizione di questi giorni. L?hanno arrestato insieme agli altri del suo quartiere. Unico criterio: un?età compresa fra i 18 e i 25 anni, perché considerata ?a rischio?. Ne hanno presi a migliaia di giovani. Li hanno messi in carceri sorvegliate dalle truppe speciali. In questi giorni basta una frase, un sospetto, a volte nemmeno quello, e puoi finire dentro. Gli studenti di Addis Abeba, Awassa, Arba Minch, Desseie, Bahir Dar hanno sostenuto la protesta dell?opposizione, la denuncia di brogli nelle elezioni di maggio, confermata dagli osservatori internazionali. Sono scesi in strada e hanno incontrato l?esercito. La ventata di democrazia dei primi mesi di quest?anno si è tramutata in quest?aria ferma. Nel silenzio, qui e nel resto del mondo. Verrà qualcuno a fermare questo orrore? Ci sarà un futuro per questo paese? Perché non si blocca questo lento massacro? Vi prego: non lasciate morire l?Etiopia.

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