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La parola / -rte

Un suono che unisce due parole che si frequentano da sempre. E che un artista thailandese ha sbattuto in faccia allo scandalizzato pubblico occidentale

di Alter Ego

Suono duro questo -rte, di quelli che la lingua fatica. Il suono giusto per l?arte e per la morte: in entrambe la parola fallisce. L?indi-cibile accomuna arte e morte. Avrà pensato così Araya Rasdjarmrearnsook, artista thailandese che a Torino, per la Triennale, ha tenuto una lezione davanti a dieci cadaveri. Sul pavimento della sala settoria dell?università, su tavole anatomiche, i dieci morti col volto coperto da una garza bianca: rispettare la privacy è condizione necessaria, e a quanto pare sufficiente. La Rasdjarmrearnsook officia una lezione sulla vita e sulla morte, perché noi occidentali, per cultura, della morte abbiamo un incomprensibile rifiuto. Al di là del vetro, gli spettatori assistono. È vero, l?arte ha sempre frequentato la morte. Mantegna ha dipinto il Cristo morto con un cadavere come modello, Rembrandt ha messo su tela La lezione di anatomia, Grünewald nella pala di Isenheim non ha edulcorato nulla. Oggi ci sono Cattelan e i suoi bambini impiccati e von Hagens, che compra cadaveri in Cina, li plastifica e li mette in mostra. È arte? Rispetto a Cattelan forse è preferibile questo, talmente oltre ogni estetica, etica e pensabilità da obbligare a pensare. Che poi il contenuto del pensiero sulla morte debba essere quello dell?arte della thailandese non è detto: forse più che di arrenderci alla naturalità della morte, abbiamo bisogno di inciampare nella morte come scandalo. Perché non c?è arte che tenga, come già non teneva il sillogismo per Ivan Il?ic: la nostra morte per noi resta uno scandalo. Troppo facile dire che quella degli altri è naturale.


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