Salute

Aids: conferenza Onu: raccolti 1,5 mld di dollari

Nelle attese del segretario generale dell'Onu Kofi Annan il fondo dovrebbe arrivare a 7-10 miliardi di dollari.

di Redazione

Sono arrivati a oltre 1,5 miliardi di dollari (per quasi due terzi Usa) i contributi promessi finora al fondo mondiale per la lotta all’Aids dell’Onu che chiude oggi la sua prima conferenza internazionale per discutere una strategia comune sull’epidemia. Gli Stati Uniti hanno aggiunto 750 milioni di dollari ai 200 già promessi al fondo, che nelle attese del segretario generale dell’Onu Kofi Annan dovrebbe arrivare a 7-10 miliardi di dollari.

La Gran Bretagna ha raddoppiato l’offerta iniziale impegnandosi con 200 milioni di dollari. Gli altri contributi vengono da Norvegia (110 milioni), Francia (100), Canada (73), Svezia (60), Nigeria (10), Uganda (2), Zimbabwe (1) e Kenya che ha offerto una partecipazione simbolica di 7.000 dollari. L’Italia ha anticipato che annuncerà il proprio contributo al vertice del gruppo delle otto maggiori potenze industriali, in occasione del quale si conoscerà l’impegno degli altri partner che ancora non hanno quantificato uno stanziamento.

Il compromesso tra governi e assemblea generale dell’Onu ha raggiunto lo scopo prefissato di varare una strategia mondiale contro l’Aids, ma associazioni di malati e sieropositivi, oltre a gruppi per la difesa dei diritti civili, hanno criticato a New York il documento finale. Medici senza frontiere ha lamentato che il testo “manca di convinzione e seri impegni”.

Il testo adottato ha invece soddisfatto i rappresentanti di molti Paesi, quelli islamici soprattutto e il Vaticano, che hanno rifiutato di parlare apertamente di omosessualità, prostituzione o uso di droghe. La lettera del testo è apparsa però vaga e persino fuorviante ai circa 3.000 rappresentanti delle organizzazioni, che hanno accusato i delegati riuniti da lunedì al Palazzo di Vetro di averli sostanzialmente esclusi dal dialogo e di aver raggiunto un’intesa che rischia di incanalare i fondi destinati ai Paesi più poveri verso programmi di prevenzione discriminatori.

Secondo Karyn Kaplan dell’International Gay and Lesbian Human Rights Group, che solo dopo una lunga battaglia è stato accolto ai lavori, il documento finale in realtà peggiora le cose perché evitando di chiamare cose e persone con il loro nome favorisce la discriminazione. E la discriminazione con l’ignoranza che l’accompagna “espone al rischio del virus”.

Malati e sieropositivi sono anche delusi dalla mancanza di indicazioni su misure per l’abbattimento dei costi delle medicine, soprattutto dei farmaci antiretrovirali, lasciando il Brasile come unico Paese che, al di là delle costrizioni dei brevetti internazionali, ne permette la produzione a basso costo per efficaci programmi di cura di massa.

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