Formazione

Hitler, la rosa e le spine

"Rosa bianca", un debutto che vale due Orsi d'argento. Ottima la sceneggiatura, più convenzionali i linguaggi usati. Ma il film piace, persino in Germania

di Maurizio Regosa

Uno dei pochissimi professori universitari italiani che non giurò fedeltà al fascismo, anni dopo fece scrivere sulla sua lapide: «Etsi omnes, non ego». Anche se tutti hanno ceduto, io no. Ceduto a cosa? Al conformismo rassicurante, alla voglia e alla speranza di tranquillità, all?anonimato di una coscienza che preferisce nascondersi sotto il comodo ombrello della legge.

A questi desideri non hanno ceduto nemmeno i giovanissimi studenti cattolici tedeschi che nel 1942 formarono il gruppo della Rosa bianca, dandosi alla propaganda clandestina contro Hitler e il suo regime. A loro Marc Rothemund ha dedicato La rosa bianca. Sophie Scholl, un?opera prima non straordinaria (nonostante i due Orsi d?argento vinti a Berlino 2005) ma onesta, corretta, girata con semplicità e discrezione, benissimo interpretata (in particolare dall?ottima Julia Jentsch nel ruolo di Sophie e da Gerald Alexander Held, nel ruolo dell?inquisitore).

Una vicenda già narrata nel 1982 da Michael Verhoeven e ripresa (con l?ausilio di inediti documenti d?epoca) dal più giovane Rothemund (classe 1968), da un altro punto di vista. Concentrandosi cioè su Sophie, la ventunenne che il 18 febbraio 1943 fu sorpresa a distribuire volantini all?università di Monaco assieme al fratello Hans. Arrestati, i due vennero processati per direttissima e ancor più rapidamente giustiziati (ed è su questi giorni che si focalizza la narrazione).

Tempra forte, cervello finissimo, Sophie esprime un?anima non doma: sa proteggersi dalle tentazioni (l?offerta, rifiutata, di ritagliarsi un ruolo di semplice complice), analizza con lucidità l?opposizione fra il dovere morale e quello civile, guarda ai fatti che pure sta vivendo con il distacco di chi non ha compromessi da fare. Segue la sua coscienza e prova a costringere i suoi interlocutori a fare altrettanto: le sequenze degli interrogatori sono fra le più efficaci ed intense.

Film più di parola che di azione, girato con uno stile che accoglie tutte le buone ma non sorprendenti convenzioni del genere storico, ambientato in interni autentici o ben ricostruiti, La rosa bianca mi è parso discontinuo, appesantito da cadute didascaliche (perché spiegare un sogno dal significato evidente?) e da esasperazioni al limite del grottesco (il giudice del processo: troppo semplice farne uno psicopatico urlante? Ricordiamoci della Arendt: la banalità del male). Tuttavia è una pellicola interessante. Se non altro, come sostiene il suo autore, a futura memoria.

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