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Libano: rapporto Mehlis, ricostruzione attentato Hariri

Secondo la commissione, Hariri era sotto sorveglianza già da almeno un mese prima dell'esplosione. La scarsa collaborazione della Siria ha ostacolato l'indagine

di Chiara Brusini

Secondo le ricostruzioni della Commissione indipendente dell’Onu, che ha indagato sull’uccisione dell’ex premier libanese Rafik Hariri, almeno “sette ufficiali siriani e quattro libanesi sarebbero stati coinvolti nel progetto omicida”.

L’attentato è stato messo a punto dopo una serie di incontri clandestini e un’attenta sorveglianza dei movimenti del primo ministro. E’ quanto emerge dalla ricostruzione compiuta dal team Onu che ha condotto l’indagine, capeggiato dal tedesco Detlev Mehlis. Un testimone siriano, che ha affermato di avere lavorato per i servizi segreti di Damasco, ha dichiarato alla commissione d’inchiesta che nel settembre 2004, “approssimativamente due settimane prima dell’adozione della risoluzione 1559 del Consiglio di Sicurezza, alti responsabili siriani e libanesi hanno deciso di assassinare Rafik Hariri” (si tratta della risoluzione che sanciva il ritiro dell’esercito siriano dal Libano).

Il testimone ha riferito che “un alto ufficiale della sicurezza libanese si è recato diverse volte al Palazzo presidenziale e negli uffici di un alto funzionario della sicurezza siriana”. “L’ultimo meeting”, ha raccontato ancora il testimone, “è avvenuto nell’abitazione dello stesso funzionario approsimativamente 7-10 giorni prima dell’assassinio”. A quest’ultimo meeting avrebbe partecipato “un altro alto funzionario della sicurezza libanese”. Zuhir Ibn Mohamed Said Saddik, un altro testimone poi diventato un sospettato, secondo quanto si legge sul rapporto “ha poi fornito dettagliate informazioni sul crimine alla Commissione”.

Saddik, dopo avere ammesso di aver partecipato all’ultima fase dei preparativi dell’attentato è stato arrestato (16 ottobre), ha detto che “la decisione di assassinare Hariri è stata presa in Siria, a seguito di una serie di incontri clandestini in Libano tra alti ufficiali libanesi e siriani”. “Questi – ha confessato – hanno disegnato un piano e preparato la strada per l’esecuzione dell’attacco”. Questi incontri, ha aggiunto Saddik, “sono iniziati nel luglio 2004 e sono proseguiti fino a dicembre dello stesso anno”.

Saddik ha anche fornito importanti informazioni sull’autista che sarebbe stato assegnato al camion Mitsubishi imbottito di esplosivo, rubato in Giappone il 12 ottobre. Si sarebbe trattato di “un individuo iracheno a cui era stato lasciato credere che l’obiettivo fosse il primo ministro iracheno Iyad Allawi”, a Beirut proprio nel giorno dell’attentato. L’indagine ha messo in luce che 8 numeri di telefono e 10 cellulari sono stati utilizzati per organizzare la sorveglianza di Hariri e portare a termine l’attentato. Sei di questi sono stati utilizzati nel giorno dell’attacco, intorno alle 11, nella zona di Piazza Parlamento.

Secondo la commissione, Hariri era sotto sorveglianza già da almeno un mese prima dell’esplosione e “non sarebbe stato difficile per persone esterne alla cerchia del primo ministro individuare con esattezza l’itinerario del suo convoglio il 14 febbraio”. Il convoglio di Hariri, il giorno dell’attentato, comprendeva anche tre automobili con il sistema jamming, capace di individuare a distanza la presenza di sospetti oggetti elettronici radiocomandati. E dall’inchiesta appare chiaro che, “al momento dell’esplosione, il sistema fosse operativo e funzionante”.

Dubbi restano, invece, sul perché il dispositivo non abbia segnalato la presenza di alcun congegno esplosivo. La deflagrazione che ha ucciso Hariri e altre 22 persone ha avuto luogo sopra il livello del suolo. Per questo è stato utilizzato un carico di esplosivo non inferiore ai 1.000 chilogrammi.

La Commissione conclude che “la carenza di sostanziale collaborazione del governo siriano ha ostacolato l’indagine, rendendo complicata la ricostruzione sulla base delle prove raccolte da varie fonti”. “Se l’indagine sarà mai completata – è stato aggiunto – si renderà necessaria una completa collaborazione del governo siriano con le autorità investigative”.

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