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Pandemia

Una parola che prima possedeva un valore salvifico e oggi è un richiamo alla morte. Come è stato possibile? La colpa non è del pollo, ma dell’uomo hi tech.

di Alter Ego

Dove stiamo andando è evidente. Nella Grecia classica evocava un valore positivo, un concetto solare, quasi sacro e salvifico. Voleva dire ?tutto il popolo?, la comunità intera del demos, ovvero dei maschi adulti e liberi che componeva, ad Atene ma in fondo anche a Sparta, Corinto e le altre città della dodecapoli, l?élite, l?aristocrazia (nel senso originale, di parte migliore) che faceva le leggi, sviluppava l?economia, approfondiva la scienza, decideva la guerra. Oggi, invece, pandemia ha un aspetto mortuario, medico, soltanto clinico. Significa qualcosa di molto peggio di un?epidemia, ovvero un morbo che ha la tendenza a diffondersi rapidamente attraverso vastissimi territori o continenti, senza poter essere fermato. La pandemia dei polli viene da lontano. E non solo dalla decadenza della parola che passa dalla vita alla morte, da un valore sociale e culturale a un significato clinico e medico. La pandemia dei polli viene dalla pandemia di animali che ha segnato l?inizio funesto di questo secolo. Dall?ecatombe di mucche, pesci e uccelli d?allevamento che sono il contrappasso dell?assurda ascesa tecnologica dell?uomo. Bestia assassina che la vulgata deteriore delle religioni monoteistiche pone al centro di un universo di cui l?uomo sarebbe signore e che quindi può distruggere. L?uomo non capisce che la vera pandemia è l?accelerazione tecnologica a senso unico, che lo spinge a distruggere il mondo da cui dipende la sua esistenza, abbagliato dal miraggio di possedere le chiavi del segreto della vita.


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