Sostenibilità

L’educazione? Una cosa naturale

Per sensibilizzare al rispetto dell’ambiente non servono regole universali (di Maria Antonietta Quadrelli).

di Redazione

Tsunami, Katrina, Rita, terremoti. Il 2005 è stato un anno che ha portato all?attenzione dell?opinione pubblica esempi eclatanti dell?estensione e interconnessione dei problemi ambientali, sociali ed economici come anche dell?importanza vitale di riuscire a leggere i segnali che il territorio dà; si pensi all?onda gigantesca che ha devastato il Sud-Est asiatico il 26 dicembre 2004 o agli uragani che si sono abbattuti sugli Stati Uniti. Chiave di interpretazione In una situazione che si fa sempre più complessa e interconnessa, vale la pena fermarsi a riflettere sul contributo che l?educazione ambientale può dare alla soluzione dei problemi e quale educazione vogliamo promuovere. Per chi, come noi, condivide la visione dell?educazione ambientale come un processo di apprendimento che aiuti la gente di ogni età a capire meglio il mondo in cui vive, cogliendo la complessità e l?interconnessione di problemi sociali economici e ambientali, l?educazione ambientale non consiste in un nuovo programma ma in un processo che riorienti le politiche educative, i programmi, le pratiche in modo che l?educazione giochi il suo ruolo nella costruzione delle capacità di tutti i membri della società di lavorare insieme per costruire un futuro sostenibile. Questo processo intende sviluppare pensiero critico e creativo, capacità di comunicare e interpretare la comunicazione, collaborazione e cooperazione, gestione del conflitto, capacità decisionale, capacità di programmazione, di risolvere problemi. Rispetto al passato, l?attenzione viene spostata sul processo e sulla metodologia d?azione. Relazioni ambientali Non si tratta, insomma, di sostituire un concetto con un altro, di imparare una tecnica o cambiare una legge. Si tratta di modificare nel profondo la nostra immagine della natura, in altre parole la nostra cultura ambientale, che diventa la cultura delle relazioni ambientali, o meglio, la cultura delle relazioni tra noi e l?ambiente. Immagine che è completamente ribaltata rispetto al passato: ora gli elementi principali sono gli elementi di contesto, le connessioni, che legano le parti per formare un tutto. E la cultura non esiste se non in quanto comprensiva delle culture in un mondo di diversi e di differenze dove gli stessi messaggi possono voler dire cose antitetiche ed è quindi di vitale importanza la conoscenza profonda e il rispetto per cogliere e capire sensi e significati, che, tra l?altro, evolvono continuamente. A partire dalla fine degli anni 80 i ragazzi sembrano avere ricevuto informazioni e opportunità di vivere proposte nel campo dell?educazione ambientale ma sembra sussistere, e molte ricerche lo confermano, una mancanza di coerenza, una scarsa coscienza dei rapporti di casualità, una concezione non contestualizzata delle problematiche. Manca la capacità di elaborare le informazioni, peraltro massicciamente acquisite, collegandole con comportamenti coerenti e adeguati o la mancanza di motivazione a farlo. No ai modelli assoluti Chi opera nel campo dell?educazione ambientale oggi lo fa in un contesto fortemente cambiato rispetto ai primi ?pionieri?. Siamo di fronte a una situazione caratterizzata da una complessità che coinvolge nel presente simultaneamente tanti piani, tanti ambiti, tanti attori, tanti interlocutori, tanti portatori di bisogni ed esigenze; una complessità di situazioni che si evolvono nel tempo e che diventa difficile interpretare, prevedere. All?interno del WWF la ricerca in questo campo è continua nella consapevolezza che viviamo attualmente in un contesto storico particolare che vede il passaggio da un?educazione normativa basata su regole e metodi chiari, precisi, condivisi socialmente a un?educazione affettiva, centrata sulle relazioni. In questo contesto non sono efficaci modelli educativi precostituiti e ?ricette? pronte per l?uso, non esiste un modo di comportarsi più o meno unico, più o meno adeguato, più o meno condiviso, ma esistono metodi differenti a seconda della situazione e ipotesi di strategie da verificare e su cui riflettere per migliorare la propria efficacia educativa. Essere educatori in questa fase di transizione significa, da un lato, attivare processi di rielaborazione dei modelli educativi ricevuti, verso modalità creative e costruttive di apprendimento, dall?altro aumentare il livello di consapevolezza rispetto al contesto, allo sfondo in cui si colloca la nostra azione. Tutto ciò fa pensare che si debba valutare attentamente in termini di qualità quanto finora prodotto e che si debba contemporaneamente attivare una riflessione sulla cultura di cui siamo portatori. Sappiamo quanto sia importante il cosiddetto ?insegnamento implicito?. Ma come fare sì che ci si comporti in un altro modo, cooperando, valorizzando, fermandoci a valutare, considerando partecipazione e diversità una ricchezza, estendendo alla pratica educativa e alla dimensione organizzativa le teorie enunciate? Domandiamoci di quale progetto culturale siamo portatori come individui e come organizzazioni. Quanto è in contrasto con i modelli educativi dominanti? Si può, a questo proposito, parlare di nuovo progetto culturale da condividere e su cui attrezzare sforzi convergenti dei vari soggetti in campo? Quanto possiamo apprendere dalle reciproche somiglianze e differenze?

Maria Antonietta Quadrelli Resp. Ufficio Educazione WWF Italia


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