Formazione

Niente progetto, niente rappresentanza

Anteprima. Passaggi da una delle relazioni di apertura di Bertinoro (di Enzo Rullani).

di Redazione

I l mio intervento comincia con una domanda: rappresentare chi o rappresentare per? La nozione tradizionale della rappresentanza parte da un?appartenenza data dei singoli soggetti e attori (quella dell?operaio alla propria categoria, quella di un cittadino al proprio territorio, per fare degli esempi). Oggi però assistiamo a una fluidificazione dell?appartenenza in molte reti diverse, all?interno delle quali ciascuno ha tante identità possibili. Si deve tener conto che la gente può passare da una rete all?altra e che è un processo che non deve essere vissuto in negativo, ma anzi, può essere volto in positivo. Non serve tanto domandarsi chi si rappresenta, ma domandarsi per quale progetto condiviso si intende avanzare proposte e rappresentare chi le condivide. Il chi è funzione del per, e non viceversa, come era una volta. E questo vale anche per chi vuole fare rappresentanza. La gente infatti ti segue se condivide i progetti che hai, in relazione alle cose in cui crede: la rappresentanza diventa, in questo modo, progettuale. Non più legata ad appartenenze oggettive, ma direttamente collegata alle cose che si vuole fare insieme ad altri, in una comunità che crea identità, e in un circuito di rappresentanza che porta a sintesi le istanze dei soggetti rappresentati, mettendole al confronto con gli altri attori sociali e con le istituzioni. Nella nuova forma di rappresentanza, ancorata a progetti condivisi, rete, comunità e rappresentanza si intrecciano: chi vuole fare rappresentanza deve aiutare i rappresentati a costruire una efficiente rete dei servizi e della divisione del lavoro, necessaria per realizzare gli obiettivi pratici del progetto comune; deve sviluppare identità che siano condivise dalle persone in gioco, rigenerando in continuazione la comune visione del mondo, che giustifica e rende plausibile il progetto. La rappresentanza dunque non basta darsela. Bisogna evitare di adottare modelli che sono già in crisi, e guardare alle nuove funzioni e possibilità emergenti, legate alle appartenenze fluide e multiple. Questa è una trasformazione che interessa tutte le categorie del nostro mondo, in cui le forme di sintesi e di rappresentanza tendono a isterilirsi proprio perché perdono di capacità progettuale. Non si aderisce a quel sindacato o a quella associazione perché si sente la forza del progetto che porta avanti, ma per i vantaggi spiccioli che se ne ricavano in termini di forza contrattuale, di tutela normativa, di servizi. In questa situazione le organizzazioni del terzo settore, pur arrivando per ultime sul terreno della rappresentanza, possono avere un vantaggio, in quando il loro spazio di azione è più permeabile alla progettualità: le organizzazioni del terzo settore nascono, infatti, non per rappresentare, ma, in prima istanza, per ?fare delle cose?, per dare loro significato attraverso la partecipazione.

Enzo Rullani


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