Non profit

Africa: protesta contro “La Talpa”

Aumentano sul web le proteste contro il reality ambientato in Kenya

di Emanuela Citterio

Triviale e di cattivo gusto. Una coalizione di associazioni impegnate in Africa definisce così il reality “La Talpa”, tramesso da Mediaset e ambientato in Kenya. Le proteste sono aumentate su internet soprattutto dopo la gara gara fatta due settimane fa. Ai concorrenti è stato chiesto di bere 60 litri di acqua nel minor tempo possibile. A giudicare di cattivo gusto la scelta è la coalizione Chiamalafrica “considerando il fatto che il suddetto programma viene girato in Africa, laddove milioni di persone muoiono per non aver accesso all’acqua potabile”. “Il 2003 è stato l’anno internazionale dell’acqua” ricorda in una lettera di protesta l’associazione, “anno in cui nel nostro paese sono state organizzate molteplici iniziative atte a sensibilizzare l’opinione pubblica italiana su questo problema, in particolare sui conflitti in corso per le risorse idriche in diverse parti del mondo (tra cui il Kenia, come si può leggere nel documento qui sotto riportato) e sulla carenza delle suddette risorse che sta causando l?agonia di molti paesi poveri, soprattutto africani”. “Il vostro programma veicola il messaggio che il Nord del mondo possa continuare a bere fino a vomitare, sfruttando quanta più acqua possibile (più del necessario) quando in altre parti del mondo ci sono popolazioni che muoiono per la mancanza di tali beni”. L’associazione allega alla protesta un riassunto sul problema dell’acqua nel Paese in cui La Talpa è ambientato. Kenia: la guerra dell’acqua Hanno causato più di 70 morti gli attacchi dello scorso 12 luglio a Torbi, nel distretto settentrionale di Marsabit, in Kenia. Secondo quanto riferito dalla polizia, ci sono almeno 20 bambini tra le vittime del massacro. Dieci assalitori, invece, sono stati freddati durante un conflitto a fuoco con le forze di sicurezza. Secondo le fonti della Croce Rossa keniana, riportate da IRIN, almeno altri 18 sarebbero i feriti ricoverati nell?ospedale più vicino al piccolo villaggio. Robert Kipkemoi Kitur, assistente commissario del locale distretto di polizia, ha affermato che gli aggressori apparterrebbero all?etnia Borana. Non c’è ancora sicurezza sui numeri della carneficina. Alcune fonti, arrivano a contare almeno 95 vittime, smentendo i dati diffusi dalla polizia. Le forze di sicurezza, in seguito al raid, hanno comunque messo in moto una vasta operazione, riuscendo a recuperare molta della refurtiva razziata durante l?attacco. Secondo le notizie diffuse dalla Misna, le indagini delle autorità hanno già portato a risultati importanti. Sette individui armati sono stati fermati in queste ore: due di questi sarebbero coinvolti nel massacro della scorsa settimana. Antiche rivalità Quello del 12 di luglio è solo uno dei tanti massacri consumati in questi mesi in Kenia, quasi sempre per lo stesso motivo. Quelle dei Gobra e dei Borana sono due comunità di pastori tra le tante che condividono una terra estremamente arida e che più di una volta si sono travate a combattere per lo sfruttamento delle risorse: i pascoli e le fonti idriche sono i motivi principali di ostilità tra le tribù. Si sono generate così le faide che hanno portato il numero degli assassinati a lievitare di parecchio negli ultimi tempi. L’elenco compilato dall?agenzia IRIN è impietoso: 22 morti a marzo negli attacchi al villaggio di El Golicha e altri 20 in un precedente scontro etnico tra Murule e Garre. Ancora 14 morti sono il tragico bilancio di un altro scontro in gennaio. In particolare, secondo quanto riferito dall?agenzia Afrol, gli assalti di marzo nel nord-est del paese sono stati particolarmente cruenti. Le fonti UNICEF, citate nel rapporto, riferiscono di un accanimento particolare con armi da fuoco e da taglio nei confronti dei bambini e dei più giovani. Una sorta di rabbiosa pulizia etnica, insomma, sempre per la stessa ragione: accaparrarsi qualche pozzo in più. Un fiume di rifugiati L’effetto collaterale più deleterio di questa serie interminabile di attacchi è la marea di profughi che abbandona le proprie case in cerca di rifugio dai possibili attacchi. Secondo le dichiarazioni dei portavoce della Croce Rossa keniana, riportate dalla IRIN, più di 9000 persone sarebbero fuggite dai villaggi più isolati dopo le uccisioni di martedì scorso. Gli sfollati, radunatisi per etnia, cercano scampo dalle pallottole e dalle lame delle opposte fazioni accampandosi nelle vicinanze di presidi della polizia. La Croce Rossa ha chiesto un contributo di circa 700 mila dollari per riuscire a sfamare coloro che hanno lasciato i villaggi e che, molto spesso, non hanno più alcun mezzo di sostentamento. Alcuni, infatti, si sono visti sottrarre preziosi capi di bestiame, rimanendo con un pugno di osche in mano, in attesa che cessino per sempre le brutalità.


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