Formazione

Hernando de Soto. I poveri non sono poveri

Verso il G8: in un intervista a Vita il più grande economista del Sud del mondo spiega le teorie espresse nel libro "Il mistero del capitale"

di Carlotta Jesi

A 60 anni, Hernando de Soto non è più sufficientemente giovane per scherzare sul futuro dei Paesi poveri. Ed è troppo intimo dei leader che hanno in mano quel futuro – da Putin a Nelson Mandela al neo eletto presidente del Perù Alejandro Toledo – per metterli in imbarazzo con una dichiarazione controcorrente di cui non sia veramente sicuro. De Soto, ad esempio, è assolutamente sicuro che i Paesi in via di sviluppo ed ex comunisti non sono affatto poveri. Anzi, tutti insieme possiedono un patrimonio immobiliare di 9mila trecento miliardi di dollari. Solo che il loro è un dead capital, capitale morto: in soldoni, non vale nulla, perché sotto l?Equatore e nelle nazioni dell?ex blocco sovietico mancano il sistema di diritto e le leggi sulla proprietà che consentono di trasformare in denaro sonante una casa di mattoni o un campo di banane. De Soto, che è il più importante economista del Sud del mondo, ha esposto questa tesi nel suo ultimo libro, uscito negli Usa e in Gran Bretagna, con il titolo The Mistery of Capital, ovvero il mistero del capitale. Per il Time, che ha incluso de Soto fra i cinque grandi innovatori del secolo, The Mistery of Capital svela finalmente perché il capitalismo funziona in certi parti del mondo e in altre no.
Vita ha intervistato questo grande economista peruviano che è stato il consigliere di Fujimori, il direttore della Central Reserve Bank e oggi è il presidente di un centro di ricerca non profit, l?Institute for Liberty and Democracy di Lima, da cui studia gli equilibri fra Nord e Sud del mondo.
Vita: 9300 miliardi di dollari sono una cifra enorme, 46 volte superiore ai prestiti che la Banca Mondiale ha fatto al Sud del mondo negli ultimi trent?anni e, più o meno, pari al valore di tutte le aziende quotate nelle principali borse del mondo, da Tokyo a New York. Possibile che nessuno, prima di lei, si sia accorto di questa ricchezza?
Hernando de Soto: Le potenzialità dei Paesi in via di sviluppo ed ex comunisti sono sempre state lì, solo che l?Occidente non se ne è accorto perché le charities e le istituzioni internazionali l?hanno abituato a considerarli in una prospettiva di mero assistenzialismo. Come continenti sfortunati che hanno solo bisogno di aiuto.
Vita: E non lo sono?
de Soto: Certo, ma non sono solo questo. I Paesi poveri sono fatti anche di persone con una grande dignità e spirito di iniziativa. Con case, animali e piccole attività che, tuttavia, non possono trasformare in capitale e far fruttare perché nei loro Paesi mancano le leggi che in Occidente ti danno la possibilità di farlo. Risultato: si ritrovano ai confini di un mondo protetto in cui, grazie a un sistema di diritto, il capitalismo funziona.
Vita: C?è una ragione politica dietro a tutto ciò? Crede che i governi del Nord e del Sud siano responsabili di questo mondo tagliato in due?
de Soto: Non credo che l?abbiano fatto apposta, ma di sicuro oggi hanno delle responsabilità: creare un nuovo sistema di diritto spetta ai politici e non agli avvocati o ai consulenti delle istituzioni internazionali. Sono i governi che devono convincere chi oggi vive al margine della legalità a comprare un biglietto per un mondo più grande. Per riuscirci, però, un politico che voglia davvero cambiare le cose deve mettersi nei panni dei poveri. Camminare per le loro strade piene di case che esistono ma non hanno valore e capire dov?è il confine fra l?emisfero del diritto e quello dell?illegalità.
Vita: Esiste un Paese povero, anche un solo villaggio in Africa, Asia, Sudamerica o Europa dell?Est, dove il capitalismo funziona e la sua tesi è stata smentita?
de Soto: No, purtroppo. Ho visto qualche miglioramento solo in Brasile, Giappone e, in generale, nelle cosiddette Tigri asiatiche: nazioni che negli ultimi vent?anni hanno conosciuto un grande sviluppo. Un buon segno, comunque: significa che cominciamo a muoverci nella direzione giusta. Adesso, però, bisogna capire come si fa a popolarizzare il capitalismo.
Vita: Estendere il capitalismo ai Paesi poveri non è un?idea molto popolare di questi tempi. Anzi, è proprio quello che i centomila attivisti di tutto il mondo in marcia verso Genova cercheranno di impedire al prossimo G8. Che messaggio manderebbe al popolo anti-globalizzazione?
de Soto: Semplice: di chiarirsi le idee e, quindi, definire meglio il loro messaggio. A nessuno piace un mondo governato dal capitalismo, questo è chiaro. Ma ci viviamo dentro: è inutile cercare di fermare la globalizzazione, è un dato di fatto. Io stesso ne sono un prodotto: ho antenati genovesi che hanno lasciato l?Italia e incontrato i sudamericani de Soto; appena nato ho lasciato il Perù per seguire mio padre che era diplomatico, ho studiato in Svizzera e lavorato in Europa. La questione è di capire che tipo di globalizzazione vogliamo.
Vita: Come deve essere secondo lei la globalizzazione per non ampliare ulteriormente il divario fra chi ha e chi non ha?
de Soto: Non sono un fanatico del capitalismo: la libertà, la compassione per i poveri e le opportunità per tutti sono molto più importanti, ma la verità è che il capitalismo oggi è l?unico modo con cui possiamo ottenerli. La globalizzazione non si ferma, dobbiamo piuttosto batterci perché sia governata dalla legge e messa in pratica nell?interesse di tutti.
Vita: Come è stato accolto il suo libro dai premier del Nord e del Sud del mondo?
de Soto: Nel Regno Unito, da 5 mesi, The Mistery of Capital è in testa alle classifiche economiche e, su 400 recensioni ricevute, solo tre sono critiche. Ma il vero segno di come i tempi siano maturi per riconsiderare il capitalismo è un altro: sono stato contattato da tutti i premier dei Paesi ricchi e poveri che hanno letto il mio libro. Compreso Bush: non l?ho ancora incontrato di persona, ma sono entrato più volte alla Casa Bianca e il suo entourage ha dimostrato un grande interesse per le mie teorie. Il nuovo presidente non mi fa paura: credo che la sua agenda politica stia lentamente cambiando, diamogli ancora un po? di tempo e intanto continuiamo a lavorare per creare un sistema di diritto nei Paesi in via di sviluppo e dell?ex Unione sovietica.
Vita: Lei si è occupato di lotta alla povertà come economista, come banchiere e ora come studioso di un?organizzazione non profit. In quale veste pensa di avere ottenuto di più?
de Soto: Solo come volontario ho avuto la libertà e la credibilità necessarie per cambiare le cose.

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.