Salute

Zimbabwe: un milione di malati, meno uno. di Andrea Vallesini

L' Aids in Africa. Viaggio nell’ospedale della speranza dove con il progetto Cesvi si cerca di evitare la trasmissione in verticale.

di Redazione

Giovani donne incinte attendono. Stanno sedute su una panca, con lo sguardo che incrocia quello dei vicini, alla ricerca di un?espressione di conforto. Quando la porta si spalanca, l?agitazione si scioglie in gesti quasi meccanici. La gestante in testa alla fila si alza, entra nella stanza, si siede, allunga il braccio sinistro sul tavolo in direzione dell?infermiera. Il campione di sangue viene prelevato velocemente e poi c?è l?attesa, che sembra non finire mai. Perché il verdetto dell?esame può essere un?ipoteca sulla vita. All?ospedale Saint Albert, nel distretto di Centenary, Zimbabwe del Nord, il test rapido è una novità: fino a due mesi fa la presenza del virus Hiv era accertata solamente in base ai sintomi. Se qualcosa sta cambiando in questo Paese flagellato dall?Aids, è grazie al progetto del Cesvi contro la trasmissione verticale (dalla madre al neonato) dell?Hiv che per la prima volta in Zimbabwe permette di somministrare la Nevirapina, un farmaco antiretrovirale di grande efficacia. Un ospedale senza medicine è un paradosso, ma non in Africa. «Finora», dice Elisabeth Tarira, la direttrice del centro istituito da missionari, «il governo aveva sostenuto la spesa per quei pochi farmaci che riuscivamo a distribuire. Ma il Paese sta attraversando una grave crisi economica. Da soli non possiamo contrastare l?Aids: fin qui il nostro compito si è limitato ad accompagnare gli ammalati a una morte il più possibile serena. Ora, con questo aiuto dall?Italia, possiamo portare la speranza nelle famiglie». Messaggio al quale le partorienti si sono aggrappate. L?inizio non è stato facile: la malattia ha sempre rappresentato un tabù e aderire al progetto Cesvi significava riconoscere pubblicamente lo status (e lo stigma che ne deriva) di infetta. La maggioranza delle donne che finora si sono sottoposte al test (20 su 65 sono risultate sieropositive) lo hanno fatto all?oscuro dai mariti. Un?abitudine alla quale non si è sottratta Safina Magodhi, la prima partoriente a ricevere la Nevirapina. Il suo Takunda, venuto al mondo il 9 maggio scorso e battezzato con un nome che significa «abbiamo vinto», ha ricevuto il farmaco e sta bene. Safina, che ha perso il primo figlio per l?Aids, raggiunta nel villaggio preferisce non ricevere visite di estranei, che potrebbero insospettire il marito. All?ospedale Saint Albert ? tre medici per 140 posti letto e tre reparti: medicina, piccola chirurgia e ostetricia ? l?avvio del progetto dell?ong italiana ha portato una ventata di ottimismo, spezzando la logica dell?inevitabilità. Le partorienti ora sanno che c?è un?alternativa seria alla trasmissione del virus alle loro creature: nascerà una generazione non segnata dalla malattia. Sarudzai Bonba, 16 anni, dice accarezzandosi il pancione: «Ho accettato di fare il test per sapere con certezza cosa ho e cosa attende il mio bambino. Se risulterò sieropositiva, la prima cosa che penserò è alla morte e alle speranze di salvezza del mio piccolo». La tensione che impietrisce Saraduzai, un?ora dopo la sua testimonianza si scioglierà in felicità: il test è risultato infatti negativo, la giovane partoriente è sana, come lo sarà il neonato. Nel distretto di Centenary (90 mila abitanti) avvengono 4 mila parti all?anno: 2 mila all?ospedale, mille nei sette ambulatori locali e gli altri mille nei villaggi. Tre operatori girano il distretto per incontrare le donne e renderle partecipi al progetto. «L?obiettivo è portare allo scoperto, nel rispetto della riservatezza, i 1.200 casi di partorienti sieropositive, tenuto conto che in Zimbabwe il 30 per cento delle donne incinte hanno il virus, e ridurre del 50 per cento la trasmissione verticale», dice Claudia Gandolfi, neonatologa, responsabile sanitario dell?iniziativa Cesvi. Nell?area dell?ospedale Saint Albert, un edificio ospita le partorienti arrivate da villaggi lontani. In un prato le donne partecipano a una lezione sul percorso che le attende. «Nel tempo vorremmo arrivare a prenderci cura anche delle madri sieropositive», aggiunge la Gandolfi. «Prima che arrivasse la Nevirapina», ricorda la direttrice dell?ospedale, «la sola terapia era somministrare antibiotici per combattere le patologie che insorgono in seguito all?Aids, come la tubercolosi». Un zimbabwano su quattro tra i 15 e i 49 anni ha il destino segnato dal virus. Il progetto del Cesvi per ora è una goccia nel deserto, ma se non ci fosse, Takunda avrebbe un?esistenza già a termine. Negli sguardi delle donne in fila per il test si legge un appello: aiutateci a salvare la vita che è in noi. Parla il Ministro “Il grande rischio: perdere una generazione per strada” Un appello alla comunità internazionale perché si adoperi per garantire all?Africa farmaci a basso costo. Lo lancia il viceministro della sanità dello Zimbabwe, David Parirenyatwa, che porta un cognome importante: suo padre è stato un medico di fama e alla sua memoria è dedicato l?ospedale della capitale Harare, il più grande dell?ex Rhodesia. Vita: Che cosa rappresenta l?Aids per il vostro Paese? Parirenyatwa: Una tragedia enorme. Un milione dei 13 milioni di abitanti è sieropositivo, ne sono colpite il 30 per cento delle donne gravide e il 25 per cento dei residenti tra i 15 e 49 anni. Questo vuol dire che i più giovani, e quindi la classe dei lavoratori che rappresenta il futuro, è decimata. Vita: Come affrontare il problema? Parirenyatwa: Prevenzione e terapie sono le strade su cui insistere. L?80 per cento dei ricoveri ospedalieri oggi sono legati alle cosiddette malattie opportunistiche dell?Aids. Ma abbiamo una spesa sanitaria procapite di 13 dollari all?anno (più di 26 mila lire: in Europa è di 4 milioni di lire, ndr), che vorremmo portare a 23. Di più non possiamo fare. L?obiettivo è mantenere la percentuale di popolazione sieropositiva sul totale intorno al 10 per cento. Vita: Il Sudafrica ha vinto la battaglia con le multinazionali per l?importazione e la produzione di farmaci antiretrovirali a basso costo. Questo esito cosa significa per voi? Parirenyatwa: I risultati positivi si avranno in Sudafrica. Noi siamo un piccolo Paese e quindi non possiamo avviare una procedura come quella di Pretoria, che si è avvalsa anche del contributo di una persona carismatica come Nelson Mandela. I farmaci antiretrovirali sono una parte del problema. Ma è la comunità internazionale che in questa partita deve far sentire di più la sua voce. Vita: Avete però anche degli aiuti dall?estero? Parirenyatwa: Certo. Il progetto del Cesvi per noi è molto importante. Daremo un sostegno decisivo a questa iniziativa, la prima in Zimbabwe contro la trasmissione materno-infantile dell?Hiv..


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