Politica

Afghanistan, sospiro di democrazia

Lo scenario nel post voto. «Se il 50% di votanti vi sembrano pochi, non avete idea di cosa sia questo Paese», commenta Emma Bonino. - Dal nostro inviato Paolo Manzo

di Paolo Manzo

«Chi si aspettava una percentuale più alta di partecipanti al voto forse non ha presente che cosa sia l?Afghanistan. Per questo io sono molto soddisfatta del 50-55% che domenica 18 settembre è andato alle urne». È un fiume in piena Emma Bonino, il capo degli osservatori internazionali che, dal 27 luglio, ha percorso palmo a palmo 30 delle 34 province che compongono questo crogiuolo di razze chiamato Afghanistan. Pashtun, tagiki, hazari, uzbeki, kirghisi, turkmeni, baluchi… S?incontra di tutto in questa capitale che, a leggere gli indicatori internazionali delle Nazioni Unite, è la più povera al mondo e che, per chi ci è capitato dentro per seguire le prime elezioni democratiche dal 1969, appare una sorta di enorme bazaar. È martedì 20 settembre e da un paio d?ore è iniziato lo spoglio degli oltre sei milioni di schede che dovranno decidere la composizione del futuro Parlamento afghano (la Wolesi Jirga) e dei 34 presidenti provinciali. Dalla terrazza della sede della Commissione Ue a Kabul, la Bonino analizza le prospettive del Paese, mentre sotto di noi c?è la capitale, immersa in una «coltre di polvere che non ha eguali sul globo terracqueo», per usare l’espressione di Michele, operatore umanitario di Intersos, l?ong italiana che dal 2001 ha dato assistenza di ogni tipo a oltre mezzo milione di afghani. «è un voto storico, il primo dopo 30 anni di guerra, prima per l?invasione sovietica, poi a causa della follia integralista dei talebani. Ma si tratta di un primo passo. Ora dobbiamo seguire il periodo dello spoglio e poi, il 22 ottobre, ci sarà la nomina ufficiale degli eletti». La Kabul di oggi è un enorme cantiere e ovunque si stanno costruendo edifici, fognature (le attuali sono a cielo aperto…), mentre la luce va e viene, rendendo indispensabile l?uso di generatori a gasolio da parte di ospedali, ong e ministeri. Il dato forse più positivo è che, a differenza di qualche anno fa quando talebani e mudjaheddin si combattevano con le armi, oggi i signori della guerra hanno scelto di candidarsi alle elezioni. «Bisognerà vedere come si spartiranno il potere ma, almeno, sarà un processo incruento e non a colpi di kalashnikov», mi spiega un diplomatico occidentale che ha chiesto di mantenere l?anonimato. Resta la domanda che tutti si pongono: come considerare queste elezioni e quale futuro aprono per l?Afghanistan? Il dato politico rilevante è il fallimento dei talebani (gli studenti di teologia che in realtà sono analfabeti nel 70% dei casi), che avevano come unico obiettivo quello di impedire il voto: gli appelli di Al-Zarqawi &Co sono stati inutili e le temute violenze non ci sono state, né nel giorno delle elezioni né in quello di inizio dello spoglio. «Ho controllato gli indici delle mani dei miei collaboratori e almeno il 40% era bagnato con l?inchiostro, a dimostrazione che a votare qui ci è andata circa la metà delle persone», confida a Vita Alberto Cairo, responsabile dell?ospedale della Croce Rossa internazionale a Kabul, che da 16 anni è un punto di riferimento per i tanti poveri che non possono permettersi l?acquisto di medicinali. Per i risultati definitivi ci vorrà quasi un mese, ma sicuramente il 25% dei neoparlamentari sarà formato da donne: un?altra sfida persa dai talebani, che avevano minacciato di morte qualsiasi candidato di sesso femminile. Resta alto il timore di attentati durante la fase dello spoglio, e per questo Kabul è una città dove la presenza dei 20mila soldati del comando americano e dei 10mila della missione Isaf della Nato si fa sentire pesantemente. Sul futuro del Paese, quando le truppe internazionali se ne saranno andate, le ipotesi più accreditate dagli analisti sono due. La prima è che l?Afghanistan riesca a inserirsi nel contesto regionale, attraverso i negoziati già in corso con i suoi vicini (Iran, Cina, Pakistan, ex repubbliche sovietiche), rafforzando la sua fragile democrazia e trovando un equilibrio interno. La seconda è quella della frammentazione territoriale, con un riacutizzarsi delle guerre interne tra etnie e un?esplosione delle tribal areas, le aree non controllate da nessuno tra Afghanistan e Pakistan, e dove Al Qaeda continua a fomentare le sue dottrine integraliste, a costruire armi e (come risulta da recenti foto aeree) ad addestrare terroristi pronti a colpire e madrasse che hanno il compito di ?lavare il cervello? dei futuri kamikaze. Quale scenario prevarrà dipende molto dall?appoggio che la comunità internazionale saprà dare alla neonata democrazia afghana.


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