Welfare

Processi eterni e condanne fuori tempo massimo

Lettere dal carcere / ogni giorno incontriamo persone che si ritrovano pene enormi da scontare senza essersi potute difendere, mostruose condanne in contumacia

di Ornella Favero

Ci fosse almeno una piccola speranza che la riforma dell?ordinamento giudiziario possa rendere più rapida ed efficace la giustizia nel nostro Paese, forse tutti noi che passiamo tanto tempo in mezzo a storie di galera accetteremmo qualsiasi legge, anche la peggiore. Ma in questi mesi di tutto si è parlato fuorché di quello che ogni giorno incontriamo nelle carceri: persone che si ritrovano pene enormi da scontare senza essersi potute difendere, mostruose condanne in contumacia, gente che, dopo anni di difficoltà, ha avviato una vita ?normale? e si vede improvvisamente spazzare via tutto da condanne per reati commessi dieci-quindici anni fa. La testimonianza che segue arriva dalla Giudecca, dove è detenuta Sonia: la sua è una storia come, purtroppo, ce ne sono tante, di processi che durano un?eternità e condanne che arrivano inesorabili a distruggere equilibri costruiti con fatiche immani.

Ornella Favero (ornif@iol.it)

La mia storia inizia anni fa, quando sono stata coinvolta insieme a mio marito in una vicenda di possesso di droga, e non sono riuscita a far riconoscere che non c?entravo nulla, nonostante fossero a mio favore anche le dichiarazioni del maresciallo dei Carabinieri, che ha sostenuto di non avermi mai visto in certi giri e non aver mai sentito parlare di me. Mio marito si è assunto le sue responsabilità scagionandomi, ma non è servito a niente. Dopo un anno c?è stato il processo e abbiamo preso una condanna a cinque anni e mezzo di carcere. Siamo ricorsi in appello, ma l?appello poi è stato fatto dopo nove anni, e lì ci hanno riconfermato la condanna. Cosa pensavamo in tutti questi anni di attesa? Succede un po? così: passa il primo anno e vedi che non arriva niente, il secondo è lo stesso, allora pensi che tutto vada in prescrizione. E invece l?anno scorso, quando siamo tornati dalle ferie, ho trovato la comunicazione che mi fissava il processo di appello. Mia figlia, che ha sedici anni, non se l?aspettava, quello che è successo, però mi chiedeva sempre se sarei stata ?fuori? per il suo compleanno. Così, quando sono venuti i Carabinieri a prendermi e mi stavano portando in carcere qui a Venezia, ho chiesto loro di lasciarla venire con me e farla scendere a casa di mio cognato. Ho dovuto fare così perché è successo tutto troppo in fretta, nessuno si è preoccupato di avvisarci, di darci il tempo di parlare con lei, di prepararla: come se, dopo tanti anni, improvvisamente fossimo diventati persone da guardare a vista. Ora lei abita con la famiglia di mio cognato, che ha un figlio di un anno più giovane di lei, e viene a trovarmi tutte le settimane. L?anno scorso si è ritirata da scuola e non penso che riprenderà a studiare. Il rapporto tra me e lei è tranquillo, anche se ha un po? il mio carattere e quindi ci scontriamo sempre, però alla fine ci riappacifichiamo. Mi scrive spesso e va regolarmente a colloquio anche con suo papà. Ma la sua vita non è più quella di prima. Eppure era passato così tanto tempo che c?eravamo davvero illusi di non finire in carcere come pericolosi criminali. Sonia, dal carcere della Giudecca

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