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La scuola in bilico

Si stringono i tempi per il sì definitivo alla riforma Moratti. Entro il 17 ottobre devono essere approvati tutti i decreti che la compongono, ma ne mancano ancora due. Fondamentali

di Sara De Carli

A essere ancora in attesa di definizione è la nuova scuola superiore, che dovrebbe trasformarsi dividendosi in due filoni: gli otto licei statali e il sistema della formazione professionale, affidato alle regioni. Ma la maggior parte dei governatori si è già detta contraria. E associazioni potenti come Confindustria e Legacoop hanno fatto lo stesso. Chi vincerà? Se ci fossero ancora gli esami a settembre, il nome di Letizia Moratti figurerebbe sull?elenco degli esaminandi. Perché mentre i suoi studenti tornano sui banchi per iniziare un nuovo anno scolastico, per il ministro questi giorni settembrini segnano il rush finale che deciderà la promozione o la bocciatura definitiva della sua opera di riforma della scuola italiana. La delega che il parlamento ha dato al governo con la legge 53 scade infatti il prossimo 17 ottobre, ed entro quella data devono essere approvati tutti i decreti legislativi previsti dalla complessa e articolata impalcatura della legge. Tra questi, però, mancano ancora i due più spinosi: quello sulla formazione iniziale e il reclutamento dei docenti, e quello sul secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione, ovvero l?attuale scuola superiore. Che stando all?ultima bozza di decreto legislativo, approvata lo scorso 27 maggio, dovrebbe essere riorganizzata negli ormai famosi due sistemi: da una parte gli otto licei, di competenza statale, differenziati in 19 percorsi, alcuni senza indirizzo (Classico, Scientifico, Linguistico e delle Scienze umane) e alcuni ?vocazionali?(il liceo Tecnologico, Economico, Artistico e Musicale); dall?altra il sistema dell?istruzione e formazione professionale, di competenza regionale, come vuole il riformato titolo V della Costituzione. Ed è per questo motivo che la vera prova finale per la riforma Moratti sarà il 15 settembre, data della convocazione della Conferenza Unificata Stato-Regioni. Inizia una nuova epoca Sulla Conferenza Stato-Regioni, che ha già dato parere negativo sulla bozza di Riforma, pesano motivazioni politiche (la maggioranza delle regioni ha giunte di colore diverso da quello della Moratti) ed economiche: le regioni a oggi si occupano di formazione professionale grazie a progetti finanziati dal Fondo Sociale Europeo, che terminerà a dicembre 2006. Già ora però queste risorse sono state completamente utilizzate, e non si può pensare di assegnare alle regioni l?intero segmento dell?istruzione e formazione professionale senza un rifinanziamento da parte dello Stato. A questi motivi si aggiungono, chiaramente, le osservazioni sul merito della Riforma, che sono arrivate da dentro e da fuori il mondo della scuola. E che si concentrano tutte attorno al polo che dovrebbe uscirne più trasformato: l?istruzione tecnica. Abbiamo cercato di capire qualcosa di più, per dare almeno una griglia interpretativa a quei ragazzi e a quelle famiglie che nel giro di quattro mesi dovranno scegliere la scuola superiore e che, se tutto va secondo le intenzioni del ministro, saranno i primi studenti italiani dell?epoca post-gentiliana. Perché al di là di tutto (la riforma è figlia di sangue della Moratti o è il punto di arrivo di un lavoro di decenni, il ministro vuole solo dire «questo l?ho fatto io» o ha davvero messo in piedi la rivoluzione?) questo va detto: se passa, sarà la prima riforma strutturale della scuola italiana dal 1923. Addio istituti tecnici Il punto critico della riforma del secondo ciclo è la scomparsa degli istituti Tecnici, che per decenni hanno sfornato ragionieri, geometri, periti aziendali e che oggi assorbono il 60% delle iscrizioni alle scuole superiori del Paese. La riforma inserisce questo tipo di formazione nel filone dei licei, con un consistente aumento delle ore dedicate a materie di cultura generale. «In questo la riforma risponde a una fame di liceizzazione piuttosto diffusa», dice Bruna Sinnone, preside dell?istituto Besta di Milano, già membro della commissione che ha progettato il liceo Economico. «L?istruzione tecnica è in crisi da una decina d?anni, un po? perché il mondo lavorativo cambia così velocemente che più che competenze tecniche è necessario avere una cultura di base robusta, e un po? perché culturalmente siamo più disponibili a rimandare l?ingresso nel mondo del lavoro. D?altro canto continua a esserci anche una fascia di ragazzi che chiede un percorso conclusivo, e resiste la richiesta di persone con una formazione magari generica, ma capaci di muoversi su più fronti, come può essere il ragioniere nelle piccole aziende. In questo mi sembra che l?ipotesi del Campus, previsto nell?ultima stesura del decreto, sia una buona soluzione». Il Campus è un centro polivalente sul modello Usa, che vede affiancati nello stesso istituto licei e formazione professionale: un modo per rendere più facile rimettersi in carreggiata allo studente che ha sbagliato strada. Oppure, secondo un recente dossier di Cgil (www.flcgil.it), un luogo dove «la confusione regna sovrana, con buona pace per la trasparenza e la certezza dell?offerta». Troppo italiano per i periti? Duro nel giudizio sulla riforma è Rodolfo Malacrea, vicepreside dell?istituto Malignani di Udine, uno dei protagonsti dell?area industriale del Nord-Est, che si è candidato a mettere in piedi un biennio stabile di formazione superiore tecnica parallela all?università. Qui si formano in particolare i periti di costruzione aeronautica, ovvero i tecnici che fanno manutenzione degli aerei: corso che non sarà travasato in alcun modo nel contenitore dei licei. «La formazione tecnica è centrale nel sistema Paese, e già adesso l?Italia ha una ben nota scarsità di vocazioni tecniche e scientifiche: se vogliamo cambiare nome all?istituto Tecnico e chiamarlo liceo Tecnologico va bene, ma dobbiamo garantire una curvatura verso la formazione professionale. Non è che non vogliamo fare più italiano, ma ci deve essere un orario ben bilanciato». Il Malignani fa parte di un gruppo di istituti Tecnici scelti da Confindustria come osservatorio privilegiato per studiare il contrattacco alla riforma Moratti. Da sempre contrarie alla liceizzazione degli istituti Tecnici, Confindustria e altre quindici importanti organizzazioni imprenditoriali, tra cui Abi, Confartigianato e Legacoop, hanno firmato un documento congiunto in cui chiedono di salvare l?istruzione tecnica, evitando di annacquare la funzione professionalizzante dei licei vocazionali in nome della preopedeuticità allo sbocco universitario. I sospiri del sottosegretario «Tra cultura e professionalità non c?è un rapporto di aut aut, ma di et et. La richiesta delle imprese di una maggior cultura generale non deve essere confusa con una rinuncia alle competenze di settore». In particolare Confindustria ha lavorato sugli orari dei licei vocazionali, apportando modifiche ai monte ore proposti dal ministero: se su un pacchetto annuale di 1100 ore il Miur prevede di dedicarne 800 alle discipline comuni e 300 a quelle professionalizzanti, Confindustria riequilibra i filoni a 530 ore per le materie comuni e 570 per quelle tecniche. «Confindustria ha fatto la sua proposta direttamente al Miur, non ha coinvolto i sindacati», dice Marco Bianchi, segretario di Cisl Scuola Lombardia. «Il tentativo di mediazione c?è, ma non è quel cartello bipartisan che avevano pubblicizzato. Se il 15 settembre la riforma passa, passa per altri motivi, non certo grazie a questa proposta. Il vero ostacolo è che non sono state ancora chiarite le competenze dello Stato e delle Regioni: finché non si scioglie questo nodo nessuna riforma avrà vita facile». Alla vigilia della scadenza decisiva Valentina Aprea, sottosegretario e vera ?tessitrice? della Riforma, sta abbottonatissima. «Lavoriamo per dare un profilo condiviso alla Riforma. Lo riteniamo utile, doveroso e necessario». Ottimista? «Come potrei non esserlo?». Ma dicendolo le scappa un sospiro… Le prossime scadenze Il via al conto alla rovescia Martedì 13 settembre. Si chiude la settimana di incontri tecnico-politici in vista della Conferenza Unificata Stato-Regioni. Al tavolo tecnico partecipano rappresentanti del Ministero, delle Regioni, delle Autonomia locali e del mondo del lavoro. Cinque i macrotemi in discussione. Il più spinoso riguarda l’individuazione delle figure professionali e dei titoli di studio in uscita dal II ciclo. Giovedì 15 settembre. Conferenza Unificata Stato-Regioni. Lo scorso 14 luglio la Conferenza ha chiesto il ritiro dello schema di decreto approvato a maggio dal Consiglio dei Ministri, al fine di riprendere un confronto con il Miur per una rivisitazine integrale del provvedimento che, testualmente, «lede gravemente le prerogative costituzionali delle Regioni e non garantisce l’unitarietà e la pari dignità dei due canali di istruzione e formazione». Lunedì 17 ottobre. Scade la delega che il parlamento ha dato al governo con la legge 53/2003. Entro quella tutti i decreti attuativi devono essere approvati.


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