Economia

A San Paolo le case sono nate da sole

Brasile. In migliaia si sono sottratti alla tirannia dell'affitto. Il protagonista di questa esperienza di autodeterminazione racconta la sua storia - di Marco Zerbini

di Redazione

Lavoro con movimenti sociali nella città di San Paolo, in Brasile, dal 1980, quando ho cominciato a prendere parte al gruppo di giovani della Parrocchia Santo Emídio. Nel 1986 sono stato invitato da un amico a lavorare in uno studio di avvocati che lavorava con movimenti di lotta per il diritto all?alloggio. Ho accettato la sfida. Al di là del lavoro con le favelas, si iniziò a organizzare un movimento di lotta per il diritto all?alloggio con famiglie che pagavano l?affitto e, alla fine del 1986, nacque l?Associazione del lavoratori senza terra di San Paolo (Atst). Dopo due anni di vita dell?associazione, nel 1988, stanchi di aspettare che il governo offrisse soluzioni, i movimenti di lotta per il diritto all?alloggio della città si riunirono e decisero di fare un gran numero di occupazioni nella regione metropolitana, con l?obiettivo di forzare i governi municipali a costruire più abitazioni popolari. Oltre le occupazioni Quando cominciammo a domandare loro perché avevano deciso di partecipare a quelle invasioni, risposero che i capi del movimento avevano affermato che con l?occupazione avrebbero obbligato i proprietari a negoziare le aree occupate. Cominciammo a studiare la possibilità reale di riunire un gruppo di famiglie e comprare una grande area di terra. Con un gruppo di 18 famiglie, che avevano risparmiato un po? di denaro, facemmo una prima esperienza. Trovammo un?area, negoziammo il prezzo con la proprietà e, dopo alcuni mesi, l?area era occupata, ma questa volta senza reintegrazione di possesso, giacché era stata comprata e pagata da chi l?aveva occupata. Il risultato fu così positivo che venne riprodotto. S?iniziarono ad organizzare gruppi di famiglie che riunivano i loro risparmi e compravano grandi aree di terra per poi costruire nuovi quartieri. Il prezzo della terra era molto basso perché si trattava di aree molto grandi . Oggi le aree acquistate sono 24 e le famiglie assistite sono 12.500. Ogni area ha la sua storia, che si confonde con quella di migliaia di famiglie che scrivono il proprio destino. Storie come quella di Maria José, che aveva appena finito di traslocare nella sua nuova casa che siamo andati a visitare. Era una casa semplice, non ancora terminata, costruita da lei e dal marito nei fine settimana, con molto sacrificio, in una delle aree dell?Atst. Ha insistito talmente tanto che andassimo a casa sua e che prendessimo un caffè, che era impossibile rifiutare l?invito. Era molto felice perché, come diceva, «era libera dalla schiavitù dell?affitto». Quando entrai nella casa mi colpirono le dimensioni del bagno, che si era premurata di mostrarci. Era molto grande, di fianco a una cucina minuscola. Vedendolo e senza capire subito domandai: «Signora, perché un bagno così grande e una cucina così piccola?». E lei: «Il mio sogno è sempre stato quello di avere una vasca con idromassaggio, ma di quelle rotonde grandi e belle, come quella che c?è nella casa della mia padrona. Non ho bisogno che la cucina sia grande perché non mi piace stare in cucina; e poi farò una sala da pranzo molto carina». In quel momento la futura sala da pranzo serviva da camera, perché i lavori non erano neanche arrivati a metà. Case in catena di montaggio Questa e molte altre esperienze mi convincevano sempre più che i discorsi che si facevano nel Paese sulla politica dell?alloggio erano sbagliati. L?abitazione popolare in Brasile è trattata in modo totalmente impersonale. Le case sono costruite in grandi complessi residenziali, tutti uguali, come se uscissero dalla catena di montaggio di una fabbrica d?auto. In un Paese dove a milioni soffrono per la mancanza di un alloggio, è evidente che l?importante è semplicemente aiutare le persone a ottenerlo. Dopo i primi anni di lavoro con movimenti di lotta per il diritto all?alloggio, questa impersonalità nella produzione delle case popolari cominciò a infastidirmi, ma mai avevo sentito così profondamente la necessità di cambiare questa politica abitativa dopo aver udito le parole di quella donna. Era estremamente chiaro che ciò che l?aveva resa libera era la possibilità di sognare. La casa semplice e incompiuta rifletteva il suo desiderio più profondo di felicità e la solidità del cammino da percorrere le dava una profonda sicurezza. Le parole e i sentimenti di quella donna mi fecero vedere con chiarezza quanto fosse importante per lei non tanto avere ?una? casa qualsiasi, ma ?quella? casa. Quel fatto, da allora, ci ha aiutati a capire l?interpretazione e l?orientamento da dare al nostro lavoro. Per quanto non sia stato facile, ciascuna delle 8mila case già costruite e delle 4.500 in costruzione grazie al lavoro svolto insieme all?Atst, è diversa l?una dall?altra. Il risultato di questo modo di affrontare l?alloggio popolare si esprime in dati concreti. Per quanto riguarda il primo complesso edificato dalla Atst, nel 1989, più del 90% delle famiglie che vi alloggiano a tutt?oggi sono le stesse degli inizi; in un complesso abitativo tradizionale del governo, dopo cinque anni di occupazione, più dell?80% delle famiglie non sono più quelle originarie. Questi numeri mostrano l?importanza del rispetto della volontà e della libertà delle persone. La nostra più grande battaglia è stata quella di tentare di convincere il potere costituito che queste formule antiquate di concepire la politica abitativa non producono risultati veramente positivi. Se le persone non apprezzano la loro casa non aiuteranno a tenere in ordine la strada e il quartiere. Non si sentirà co-responsabile per la comunità in cui vive. Il Brasile ha una struttura sociale che non toglie alle persone la libertà di religione, associazione o di espressione ma, come in moltissimi altri Paesi del terzo mondo, le sue ingiustizie rendono milioni di brasiliani schiavi della miseria. Siamo anche schiavizzati da una cultura che promuove valori che non aiutano l?uomo a vivere la sua umanità, che lo allontanano dai valori cristiani. Il segreto: la partecipazione Abbiamo bisogno di pensare e proporre strutture sociali e politiche che affrontino questi problemi e aiutino a costruire una società più giusta e libera. Abbiamo bisogno di diffondere il principio di sussidiarietà. Ma questo è possibile solo se le esperienze concrete e le soluzioni trovate da migliaia di persone e organizzazioni sociali vengono riprodotte il più possibile, partendo da piccoli lavori fatti di soluzioni semplici e basati sul presupposto della partecipazione delle persone nella risoluzione dei problemi e nella loro co-responsabilità nella conduzione del destino della società in cui sono inserite. Non è più possibile concepire strutture basate su ideologie che puntano solo alla presa di potere da parte di un determinato gruppo o partito politico, come se questa fosse l?unica condizione sufficiente per «risolvere i problemi di tutti. di Marco Zerbini La Fondazione per la Sussidiarietà Riflessioni sul senso della libertà Questa testimonianza di Marco Zerbini è un?anteprima dalla rivista Atlantide, il trimestrale della Fondazione per la Sussidiarietà, diretta da Giorgio Vittadini. Il terzo numero della rivista ha per tema la libertà. Tra gli altri contributi, quello di Stefano Zamagni su Libertà economica e mercato civile e il documento dell?Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà, Un patto per il futuro del Paese.


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