Volontariato
Le parole che cambiano / Impresa
Johnny Dotti, fosse toccato a lui stilare la voce impresa del dizionario avrebbe usato una definzione diversa: impresa è prosa più poesia
Dotti, infatti, è presidente del Consorzio di cooperative sociali Gino Mattarelli: quasi 30mila addetti e molti volontari che costituiscono la proiezione più avanzata del welfare che verrà. Cosa intenda per prosa e per poesia, non fa fatica a chiarirlo. «La prosa è la creazione di valore, sono i contratti, i conti, le relazioni. La poesia invece è la storia da raccontare. Perché se non c?è storia, non c?è impresa»
Impresa, s. f. 1. Effettuazione di qualcosa che si distacca dall?ordinario. 2. Iniziativa economica, politica, culturale. 3. Organismo economico, costituito da capitali, strumenti e forza lavoro, volto alla produzione e commercializzazione di beni o servizi con conseguimento di un profitto (dal Dizionario Sabatini Colletti)
Vita: Che cosa c?entra la storia. Il dizionario non ne fa proprio menzione?
Johnny Dotti: Ribadisco, senza storia niente imprese. Perché le imprese non nascono dal nulla, hanno bisogno di un contesto, di comunità, di un passato da cui attingere sapere e conoscenze. Senza questo tessuto di fondo è difficile creare valore aggiunto vero. Oggi questa coscienza è venuta meno, e spiega, secondo me, il declino che il nostro Paese sta vivendo. Se non sei soggetto di una storia, al massimo azzecchi un terno al lotto. Invece è nella nostra natura quello di organizzare il nostro istinto attivo, di dare un contributo piccolo o grande al vivere comune. Lasciando un segno, compiamo il nostro destino. Ma neppure il dizionario ci aiuta più ad avere questa consapevolezza.
Vita: In che senso?
Dotti: Quando si dice che impresa è «un organismo economico? volto al conseguimento di un profitto» (vedi in alto nella pagina, ndr) si dà una definizione quanto meno monca. Si associa l?impresa solo alla redditività del capitale. Senza capire che in un contesto così anche il capitale economico è destinato ad estinguersi. Perché prima di quello c?è il capitale sociale, che è frutto di relazioni e di conoscenze sedimentate. E se un?impresa tra i suoi scopi non ha anche l?incremento di questo capitale, è destinata a isterilirsi. Si illuderà di reggere usando solo la leva economica: in realtà entra in una fase terminale che non ha sbocchi.
Vita: Che cosa c?è all?origine di questa evoluzione?
Dotti: è un frutto della grande deriva individualista che rischia di travolgerci. Ma è anche un sintomo tipico delle stagioni di stagnazione. I momenti di sviluppo di un?impresa, infatti, sono legati alla spinta che porta fuori da uno stato di povertà. Oggi c?è crisi ma la ricchezza circolante è talmente tanta per cui è effettivamente facile far girare il denaro usando solo il denaro stesso come leva dell?impresa e senza produrre valore reale. Ma questa situazione. se salvaguardia la ricchezza di alcuni, prosciuga il contesto, fa terreno bruciato della storia. Quindi diventa un?ipoteca inquietante sul futuro.
Vita: Impresa dunque è sinonimo di ?storia?. Il suo contrario, sembra di capire, è ?rendita?. è così?
Dotti: Sì, ed è la tendenza più pericolosa. Perché la rendita economica si trascina con sé anche la rendita di relazioni. Per cui nessuno ne resta immune, neppure il mondo di cui faccio parte. C?è una parabola che mi sembra emblematica nell?Italia di questi anni: è quella del gruppo di controllo della Pirelli, che poco alla volta sta orientando il suo business sulla telefonia mobile. Che, non dimentichiamocelo, è una concessione governativa. Sulla telefonia, l?innovazione e quindi l?impresa è stata fatta da chi produce gli apparecchi, da chi migliora le sim. Ma chi gestisce il traffico per lo più sta al varco ad incassare. Soprattutto se le autorità pubbliche non sorvegliano e chiudono uno o due occhi?
Vita: E per rendita di relazione cosa intende?
Dotti: è la trasformazione di capitale sociale in capitale privato: il capitale sociale non viene messo più a disposizione di una storia che va oltre te stesso ma viene esclusivamente concepito come una rendita personale. Quando il tasso di egoismo supera la misura, l?impresa non ha più spazio per crescere. Un po? di egoismo ci vuole, è nell?ordine delle cose, ma deve stare sempre sotto il livello di guardia. Se tieni in ostaggio il capitale sociale per fini esclusivamente privati lo depauperi, sino ad estinguerlo. Perché il capitale sociale per crescere ha bisogno di essere continuamente reinvestito. è un po? come l?amicizia: l?unico modo di alimentarla è donarla. Se ne fai solo un punto di rendita, alla fine la consumi e arrivi per forza alla rottura del rapporto. Per il capitale economico accade la stessa dinamica. Ti illudi di farlo funzionare a meraviglia trasformandolo in capitale finanziario, ma alla fine lo sottrai al terreno vero che lo fa crescere e lo mantiene vitale: cioè l?impresa. Erodi la fiducia che deve comunque conservare.
Vita: Che cosa impedisce la crescita del capitale sociale?
Dotti: Manca una classe dirigente. Cioè gente che ha una prospettiva, che ha una storia alle spalle e che accetta in tutta tranquillità di lavorare per fare cose che vedranno le generazioni future. Gente che viene da una storia ne coglie il significato e si gioca per farla crescere anche oltre sé. Dentro questa categoria ci metto anche il capitalista puro, dal quale possono dividermi tante concezioni etiche, ma al quale riconosco questa funzione positiva. Dialettizzerò con lui sull?idea di equità e sulla sua visione. Ma mi va bene che ci sia. Prenda la Fiat: non posso essere d?accordo con un?idea d?impresa che ha costretto l?Italia a puntare tutto sull?auto con le conseguenze che ben conosciamo. Ma le riconosco di aver scritto una storia e questo, per quanto la giudichi anche una storia di violenza nei confronti del nostro Paese, è un fatto comunque positivo.
Vita: Quella su cui lei tanto insiste assomiglia tanto alla responsabilità sociale d?impresa. Ma sino ad ora non l?ha mai citata. Sembra scettico?
Dotti: Oggi nelle imprese italiane prevale la logica del manager che, tra le tante componenti che fanno il parametro economico di un?azienda, ne privilegiano uno solo: quello finanziario. Nella loro strategia la comunicazione ha un ruolo fondamentale, perché quel che conta è rendere pubblici i risultati. Temo che la responsabilità sociale d?impresa venga cooptata in questa logica, dove non conta quello che si è ma quello che viene comunicato, per conquistare la fiducia dell?unico stakeholder che davvero conta: l?investitore e l?azionista. Del resto la responsabilità sociale vive una difficoltà oggettiva proprio dal fatto di non avere storie dietro di sé. Per questo spesso si riduce lei stessa a strategia comunicativa.
Vita: Che cosa c?entra la responsabilità con la storia?
Dotti: Basta aprire un dizionario e controllare l?etimologia della parola. Responsabilità ha nella sua radice il termine ?sponsus?, cioè sposo. Significa che si accetta di condividere la storia con qualcuno. Oggi invece domina una deriva individualista del pensiero, per cui uno si sente legittimato a regolare tutti i conti dentro di sé. Ma la responsabilità non è la buona intenzione, è la verifica della qualità delle relazioni che hai costruito con altri rispetto a un obiettivo condiviso. Facendo quella verifica si agisce la responsabilità. Se invece è solo la premessa che anticipa l?azione, non vale nulla. Anzi, meglio non fidarsi.
Vita: Ma impresa è sempre stata anche competizione. «Mors tua vita mea»?
Dotti: Certamente. Ma competere, per stare ancora all?etimologia delle parole, vuole dire «correre con gli altri». Se non ci sono gli altri, non corri.
Vita: Ma questi altri sono tuoi rivali?
Dotti: Non importa. Prevale comunque il fatto di essere in un rapporto e quindi di partecipare di una storia. Anche chi nelle circostanze mi è ?nemico? o concorrente ha bisogno dello stesso contesto di cui ho bisogno io per crescere. E quel contesto è frutto dell?impresa mia come della sua. Poi è giusto che prevalga chi è più bravo.
Vita: E come la mettiamo con l?idea di cooperazione?
Dotti: Per me cooperare è il miglior modo di interpretare la competizione. Da qualche anno gli americani sono venuti ad insegnare anche alle nostre aziende il valore dell?empowerment. E cos?è l?empowerment? è una strategia per accrescere il potere di ciascuno all?interno dell?organizzazione. È un modello di potere condiviso. Ma questo è il modello della cooperativa!
Vita: C?è una domanda obbligata: tra impresa e impresa sociale che differenza passa?
Dotti: Eccoci al punto. Qui cambierei davvero la definizione scritta sul vocabolario. Dove c?è scritto «con il conseguimento di un profitto», mettiamoci «con il conseguimento della missione che si è data». Un?impresa ha il compito di massimizzare la propria missione, e può anche essere il profitto. Basta rispettare le regole.
Vita: Quindi non ci sono differenze?
Dotti: Le differenze sono nel peso delle leve che costituiscono il cuore di qualunque impresa. Anche per l?impresa sociale vale il principio produttivo. Nell?assistenza, per esempio, un soggetto non è solo un soggetto da curare ma è portatore di valore. È punto di relazione. Un ragazzo con la tetraparesi spastica è molto più portato di me ad attrarre la donazione di una signora anziana che non sa a chi lasciare i suoi beni. In un contesto equilibrato quel ragazzo diventa soggetto portatore di un valore economico, che contribuisce al miglioramento dei servizi, all?allargamento dell?impresa. E crea anche una storia.
Vita: Alle voce impresa dunque cosa scriviamo?
Dotti: Scriverei che impresa è amicizia e libertà. Con quella ?e? che va costantemente curata. è un equilibrio delicatissimo. Ma il segreto è tutto lì.
Chi è Johnny Dotti
L’imprenditore pensatore
? Johnny Dotti, classe 1962, è laureato in pedagogia ed è presidente dal 2001 di Cgm, un consorzio nazionale che raccoglie oltre 3mila cooperative sociali. è sposato e ha tre figli.
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