Cultura

E Telefono Azzurro squillò su Topolino

Io ho cominciato così /3 - Ernesto Caffo. Il fondatore della linea contro gli abusi racconta i suoi inizi

di Sara De Carli

Che cosa c?entra un pugile con Telefono Azzurro? Vi do qualche indizio: il pugile è ugandese, è anche un ex sergente paracadutista e nel 1971 ha fatto nientedimeno che un colpo di Stato. Non avete ancora indovinato? Forse avete ragione, è difficile? Il pugile è Idi Amin Dada, ed è stato dittatore dell?Uganda dal 1971 al 1979. Se Ernesto Caffo ha fondato Telefono Azzurro, lo dobbiamo (termine improprio, è chiaro) anche a lui. Perché Caffo in realtà, nel 1975, subito dopo la laurea in medicina e chirurgia, doveva partire per Angal, nel Nord-Ovest dell?Uganda, per lavorare nell?ospedale pediatrico di St. Luke. Se ne era innamorato alcuni anni prima, da studente, durante un viaggio nelle missioni comboniane della zona. E invece Amin Dada con il suo governo violento ha messo a tappeto i suoi sogni: aspetta oggi, aspetta domani, alla fine Caffo si è iscritto alla specialità in neuropsichiatria infantile ed è rimasto in Italia. Le sedute di Denver Anche in questo caso si trattava di una vecchia fiamma: fin dai tempi del liceo, infatti, Ernesto, modenese con ascendenze istriane e sicule, classe 1950, divideva il suo tempo libero tra il gruppo Emmaus e il volontariato negli istituti che ospitavano i bambini handicappati. Quando ci rientra in veste professionale, Caffo resta colpito dai danni dell?istituzionalizzazione: «In quegli anni vigeva la logica dell?esclusione, le persone erano abbandonate senza cura, se non quella di protezione da autolesioni, ma non si faceva nessuna diagnosi attenta». Nel 1978, mentre parte per Denver, Ernesto Caffo capisce che all?Africa ormai aveva detto addio. A Denver lavora con il gruppo del professor Henry Kempe, il pediatra che per primo ha identificato la sindrome del bambino picchiato. «In Italia questo tema non era neanche nominato: per me è stato come squarciare un velo», ricorda. «Ogni giovedì facevamo delle sedute interdisciplinari in cui discutevamo casi di bambini maltrattati fisicamente: morsi, lividi, ferite? Violenze insospettabili, perché avvenivano in famiglia. Io allora pensavo che i genitori fossero quelli disposti a pagare qualsiasi prezzo per proteggere i figli, e mi chiedevo che cosa potesse portare un genitore a fare del male al suo bambino. E non mi sembrava giusto che io mi limitassi a suturare e ad aspettare che le ferite guarissero. Lì ho capito che per queste cose ci voleva un impegno totale, a tempo pieno». Tornato in Italia, Caffo fonda la sezione italiana dell?Associazione per la prevenzione dell?abuso all?infanzia. La parola ?abuso? debutta lì. In Italia è un termine che nessuno accetta: «Non lo si poteva neanche pronunciare. Quando ho tradotto il libro di Kempe, l?editore mi ha cambiato il titolo e ci ha messo ?violenza?», ricorda Caffo. «Noi invece abbiamo sempre usato ?abuso? perché questa parola caratterizza una lettura diversa del problema, che include tutte le forme di non rispetto del bambino come soggetto di diritti». Cosa che in Italia è talmente lontana che Caffo e i suoi si beccano anche una denuncia da parte del Tribunale dei minori di Modena: «nemo profeta in patria». I bambini in prima persona Nel frattempo Caffo è diventato ordinario a Modena, e un giorno un gruppo di giovani bussa al suo studio con il desiderio di fare qualcosa per l?infanzia. Ma vogliono un progetto concreto, operativo. Caffo non chiede di meglio. Insieme a Ida Borletti è già responsabile del Centro per l?aiuto al bambino e alla famiglia di Milano, un centro di accoglienza per bambini vittime di abusi. Questa volta però gli viene l?idea: un progetto di ascolto telefonico per bambini. È la prima volta a livello internazionale che il telefono diventa lo strumento principe di un servizio all?infanzia. Lo usavano in Olanda, ma gli adolescenti alla prime esperienze sessuali per chiedere consulenza agli esperti. Oppure, negli Stati Uniti, i vicini e gli insegnanti per denunciare i sospetti di abuso e violenze. Qui invece si tratta di un servizio di accompagnamento che fa dei bambini i protagonisti della loro richiesta d?aiuto. «L?idea è mia, ma quando ne ho parlato agli altri del gruppo, Renata Gaddini, Carlo Moro e Piero Bertolini, è diventato immediatamente un progetto condiviso. Anche se 18 anni fa il telefono era considerato uno strumento fragile, non come oggi. Abbiamo contattato i colleghi di Bologna per avere i nomi di alcuni giovani laureati che potessero collaborare con noi: psicologi, assistenti sociali, avvocati, pedagogisti. Chi risponde al telefono deve avere una formazione professionale specifica, questo è l?elemento che ha fatto scuola. Qui non si tratta di fare compagnia a un bambino, ma di avvicinarlo a un percorso di aiuto e accompagnamento che lui deve fare dentro alla comunità». Un modello in Europa Il numero di Telefono Azzurro, 051.222525, è lanciato a Sirmione l?8 giugno 1987. La prima telefonata arriva il giorno stesso. Sono cinque linee telefoniche in parallelo. Il numero è difficile, ma moltissimi volti noti della televisione danno il loro contributo per farlo conoscere: tra gli altri Maurizio Costanzo e Lorella Cuccarini. Nel 1988 Fabio Concato scrive con Lucio Dalla 051.222525, una canzone che ha per titolo il numero di Telefono Azzurro: un aiuto alla memoria degli adulti più che a quella dei bambini, ma serve a far conoscere il servizio. I bambini invece scoprono Telefono Azzurro attraverso Topolino, Minnie e Pluto. Tra il 1990 e il 1991 su Topolino escono tre storie scritte da Caffo (che da piccolo voleva fare l?editore) in collaborazione con alcuni soggettisti della Walt Disney. E poi tutto il lavoro di informazione nelle scuole: «Spiegavamo ai bambini che per parlare con noi dovevano andare in una cabina della Sip, con il gettone telefonico. Allora nelle case c?era solo un apparecchio fisso, in corridoio, e i bambini non vi avevano accesso: infatti l?adolescenza cominciava proprio con la battaglia per poter fare telefonate private». Le tappe della battaglia culturale di Telefono Azzurro si ricostruisce anche con i tabulati telefonici: il numero di Bologna viene sostituito da un numero di pubblica utilità, l?196196, e infine dal 114, l?unico numero di emergenza nazionale per l?infanzia esistente in Europa. «È la nostra sfida più grande», dice Caffo. «Significa che la comunità oggi considera l?abuso all?infanzia un tema importante, e riconosce a una realtà non profit un ruolo decisivo in questo campo».


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