Famiglia

Alzheimer: se sei un sognatore, sei a rischio

Sconcertante scoperta di alcuni ricercatori che avrebbero trovato una relazione fra zone del cervello malate e quelle del pensiero che divaga

di Carmen Morrone

E’ l’ipotesi che emerge da uno studio pubblicato sul Journal of Neuroscience e condotto da Randy Buckner, dello Howard Hughes Medical Institute e della Washington University a St. Louis. I ricercatori avrebbero scoperto una correlazione tra zone cerebrali danneggiate da Alzheimer e aree del cervello usate per divagare liberamente pensando e fantasticando, come avviene spesso nei momenti in cui non siamo assorti in alcuna attivita’ specifica. Gli scienziati fanno notare che verso questi dati occorre mostrare estrema cautela, necessitando di ulteriori chiarimenti. Ecco, appunto, aggiungiamo noi. Lasciateci sognare, a volte è vitale. Per chi vuole approfondire: Buckner suggerisce che il tipo di attivita’ (quindi il metabolismo) di queste aree in individui giovani possa in qualche modo incidere sulla salute futura del cervello e in certi casi portare alla malattia anni dopo. Le aree del cervello autrici delle nostre fantasticherie e dei ‘viaggi’ della mente sono regioni nervose che lavorano in stato di default, ovvero che si mettono in moto quando centri cerebrali specifici (per esempio motori) sono spenti. Si mettono quindi in funzione di default facendoci ritrovare in un batter d’occhio in favolosi e remoti lidi con l’anima gemella, oppure aiutandoci a pianificare azioni future. Il morbo di Alzheimer e’ una grave malattia neurodegenerativa che insorge nella forma piu’ comune in tarda eta’ e che provoca demenza con perdita progressiva di autonomia del paziente. A livello strutturale il cervello malato appare costellato di placche e inclusioni di materiale proteico. Gli esperti hanno analizzato il pattern di attivita’ delle aree del cervello per i sogni ad occhi aperti in 764 volontari, individui sani, con Alzheimer e prossimi a sviluppare la malattia. L’analisi e’ stata effettuata con cinque tecniche di imaging tra cui la tomografia ad emissione di positroni (PET) e la risonanza magnetica funzionale (fMRI). E’ emerso cosi’ che ”le regioni del cervello che tendiamo a usare in stato di default da giovani – spiega Buckner – sono molto simili a quelle dove si localizzano le placche nei malati di Alzheimer”. Secondo il ricercatore ”potrebbero essere le normali funzioni del cervello a portare alla malattia in tarda eta’, una relazione finora non considerata dagli studiosi”.


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