Cultura

Il Tevere bagna l’Albania

Qui Roma. Tra le baracche dei clandestini sulla ciclabile che costeggia il grande fiume

di Claudio Camarca

Ultima tappa del nostro tour. Tappa a sorpresa . In un luogo che non esiste su nessuna cartina geografica. Che nessun catasto ha mai registrato. è il campo dei clandestini sorto lungo il Tevere al Labaro, quartiere a nord di Roma, lungo la via Flaminia. Il campo è sfiorato dalla più frequentata pista ciclabile della capitale. Ma sono due mondi in apparenza impermeabili. Vivono senza accorgersi l?uno dell?altro. Ad accompagnarci in questa ultima tappa, che non ha un traguardo né un futuro, è uno scrittore appassionato, da sempre attento a raccontare con tutta l?energia della sua scrittura la condizione dei migranti. Non è un racconto pietistico. È una fotografia, semplice, cruda di un mondo che per ora non ha trovato un millimetro d?Italia per sé. «La mattina ti svegli che ti fa male la schiena. Poi ti passa». «Ci metti qualcosa?». «Dove». «Non so, una pomata. Ti fai massaggiare da tua moglie».«Mia moglie esce prima di me». «A che ora?». «Sveglia alle cinque. Alle cinque e trenta parte l?autobus dal capolinea». «E’ ancora notte». «Alle sette deve essere a pulire in ufficio. Prima che arrivano gli impiegati». «Quando rientra?». «Dipende. Alle sette, alle otto di sera. Dipende. Dalle coincidenze, dagli scioperi degli autisti, se perde tempo a stirare in una delle cinque case dove presta servizio». Adrian afferra il forchettone e gira le costolette d?agnello sparse sulla griglia. Albanese, di Valona. In Italia da sette anni. Lavori precari. Sua moglie taglia a metà le patate. Le infila sotto la brace. Il fumo si perde tra le fronde dei lecci protese sullo scorrere lento del Tevere. «Porta a casa bei soldi». «Otto euro l?ora. Metà della giornata la trascorre a bordo dei mezzi pubblici». «Quanto riuscite a mettere da parte?». «Da quando siamo qui, le cose filano meglio. Ogni mese spediamo a casa un vaglia postale. Mia madre ha bloccato un locale nella zona del porto. Si può fare qualcosa». «Mettici l?olio a crudo, dammi retta». Sua moglie si chiama Anna. Moldava. Carina, minuta, efelidi e capelli biondi. Si sono costruiti questa baracca sulla sponda del fiume. Insieme ad altri duecento. Uno più uno meno. Rumeni, polacchi, russi, moldavi, serbo-croati. Baracche in bandoni di lamiera e assi di compensato e tavole in legno recuperate da una discarica. «Perché sprecare l?olio. Si vede che sei italiano». «Un albanese che dà lezione di cucina». «Tu sei l?ospite, io il padrone di casa. Mangi quello che trovi». «Vado a prendere le birre». Mi alzo dalla sedia. Scendo sul greto del fiume. Recupero le bottiglie di birra immerse nell?acqua dentro un sacco di juta. Tre bambini tirano sassi contro un rospo che non li degna di un?occhiata. Una madre urla all?infinito il nome di uno tra loro. Il pranzo deve essere pronto. I bambini hanno i piedi in ammollo nella fanghiglia marcia ribollente di schiuma di detersivo. Al centro del fiume, una barchetta ospita quattro uomini intenti a pescare. Ogni tanto si passano un bicchiere. Brindano al cielo. «Per la schiena cosa pensi di fare». «Devo trovare un materasso». «Credo di averne uno vecchio in cantina». «E’ un anno che ci siamo trasferiti. In terra ho steso due stuoie e un tappeto». «Te lo devi venire a prendere». «Mi serve anche una poltrona». Anna gira le patate. Le baracche sono costruite una di seguito all?altra. Appoggiate contro gli alberi. Disperse ai piedi del declivio che porta alla pista ciclabile percorsa incessantemente da maniaci della tonicità muscolare e da famigliole in gita fuori porta. C?è un drappello di spagnoli equipaggiati di macchine fotografiche puntate a immortalare la comunità di straccioni aggrappata alla riva. «Quanto tempo pensate di fermarvi?». «Fino a che non vengono a sgombrare». «Non hai paura di venire arrestato ed espulso?». «Ho collezionato quattro fogli di via. Anna, due. Passami il rosmarino». «Con il nuovo decreto legge non potrai più tornare in Italia». «E che diavolo ci vengo a fare. Se il locale funziona, mi metto tranquillo e aspetto la vecchiaia. Anna, i piatti». Una giovane madre risale lungo il sentiero che porta al punto di partenza della pista ciclabile. Davanti a sé spinge un carrello del supermercato carico di ghirbe in plastica. Va a rifornirsi di acqua potabile prelevata alla fontanella. Dietro le sue spalle, arranca un bimbetto. Due anni. Cade, si guarda le mani sudice di terra, se le strofina e riparte. «Passami una birra». «La mia fammela ben cotta». «Mangi quello che cucino». «Sei proprio albanese». «Il difficile arriva in inverno. Quando il fiume straripa. A febbraio s?è portato via una donna». «Morta?». «Affogata, di sicuro. Non l?abbiamo più rivista. Una nonna. L?ha presa che dormiva. Non abbiamo fatto in tempo ad avvisarla. Qua era un casino. Il fango non sai. Ha una forza incredibile che ti trascina dai piedi». «Avete provato a cercarla». «Da che parte e in che modo. Possiamo mica avvisare la polizia». «Aveva famiglia, un marito, figli?». «Il marito era al lavoro. Guardiano in un deposito. E i figli hanno pensato ai bambini. Ti dico che era un casino». Panni stesi ad asciugare appesi a un filo interminabile annodato tra i rami e i tronchi. Qualche famiglia espone un piccolo generatore elettrico alimentato dalla batteria di un automobile. Da qualche parte c?è una radio accesa su una canzone di Celentano. Anna ricompare con il piatto di carta. Indossa una camicia bianca linda come quelle della pubblicità. «Dai un morso e dimmi. Voi italiani credete di sapere le cose». «Come va con l?idraulico?». «Paga quando si ricorda. Non gli posso dire niente». «Se ci metti l?olio a crudo viene più morbida». «Anna, passami ?sto olio benedetto che non ce la faccio più a sentirglielo ripetere». «Per una volta dammi retta». Qualche famigliola abbigliata in tuta e walkman si ferma a dare un?occhiata senza smontare dal sellino. I figli indicano e mormorano commenti. I genitori scuotono il capo. Il bimbetto è riuscito a raggiungere la madre. La aiuta a spingere il carrello verso la fontanella. Il cielo è azzurro. Fa caldo. «Buon ferragosto». «Questa vostra festa io non l?ho mai capita». Anna sorride. E alza il bicchiere di carta.


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